martedì 30 dicembre 2008

2009, L’ALLEGRA COMITIVA DEI NUMERI PRIMI

Numeri primi in crisi esistenziale: dal teorema di Pierre de Fermat all’antiteorema di Valentino Rossi, con buona pace del fisico prestato alla letteratura Paolo Giordano e del suo fortunato romanzo.

Eccolo arrivato il 2009. Che può sembrarlo ma non è un numero primo. Quelli divisibili soltanto per 1 e per se stessi, ricordate? Già la finale in 9 ci suggerisce di dare un'occhiatina e vedere subito se sia divisibile per 7. E infatti non è un caso che 7 x 287 dia 2009. Adesso è il 287 a sembrarci un numero primo. Ma non è vero. Basta moltiplicare 7 x 41 per toccare con mano.

Curioso constatare come proprio il 287 avanti Cristo sia l'anno più accreditato tra quelli ipotizzati circa la nascita di un tal Archimede, che per la cosiddetta scienza dei numeri - dicono - avesse predisposizione.

Ad essere primo sarà invece l'anno 2011, mentre, quello immediatamente precedente al 2009 era stato il 2003. Alla faccia del fortunato romanzo del fisico e scrittore Paolo Giordano, "La solitudine dei numeri primi", chiosiamo col dire che erano stati numeri primi anche quella fitta schiera di anni che, attraverso il 1979, il 1987 e il 1997, vanno dal 1973 al 1999. Dopo il 2011, saranno primi il 2017 e il 2027.
Il geniale matematico Pierre de Fermat, con il suo inossidabile teorema, dagli albori del 1600 stabilì che ciascun numero primo esprimibile con la formula "4n+1", dove "n" è un intero, può senz'altro considerarsi come la somma di due quadrati.

I numeri primi vi stanno distruggendo gli ultimi neuroni? Vi sta fumando il cervello come un mortaretto di fine anno? Allora sentite il botto: a mettere in esistenziale crisi il basilare assunto che la matematica giammai possa essere un'opinione, non poteva che provvedervi quell'irripetibile fenomeno che risponde al nome di Valentino Rossi. Come? Ma dimostrando a suon di scoppiettanti e reiterati rombi di pistone che il 46, vale a dire il suo magico numero di gara, è anche un numero primo. Dite di no? Perché oltre a se stesso e all'unità il 46 ha un terzo divisore che risponde al nome di 23? Vero, verissimo. Ma, con buona pace di Archimede da Siracusa e de Fermat da Beaumont de Lomagne, è anche vero che se vince sempre, e cioè matematicamente, allora il 46 è, indiscutibilmente, un numero primo.
LEONE PANTALEONI

I CINQUE “VENERDI’ NERI” DEL 2009

Proprio come le dita di una mano, due delle quali a fare decisamente le corna però
Date come dita. Le cinque dita, due delle quali ben tese a fare le corna. Saranno ben cinque infatti, proprio come i segmenti terminali della mano, i venerdì fatidici per l'anno 2009. Si tratta di tre 13 e due 17. I primi cadranno in febbraio, marzo e novembre. I secondi in aprile e luglio.

Ben più parco si era invece dimostrato il 2008 che, forse perché già bisestile, si era contenuto al minimo con un tremante venerdì 13 giugno ed un impaurito venerdì 17 ottobre.

Curioso che due dei tre venerdì del 2009 si susseguiranno uno di seguito all'altro. Una sorta di devastante "uno-due" da stendere a tappeto il Cassius Clay dei superstiziosi.

Non ci vuol molto a convincersi che venerdì provenga dalla bellissima Venere, cosicché, quando si pensa ad un venerdì 13 o 17, il rimando a "Chi dice donna dice danno" è d'obbligo. Del resto, a parte Marte, chi non conosce il proverbio a detta del quale di Venere non ci si sposa, non si parte e né si dà principio all'arte?

Era un venerdì quando, dall'ora sesta all'ora nona, si fece buio su tutta la terra e Gesù consumava sulla croce le sue tre ultime ore di agonia.

A proposito, la malasorte del 13 è la derivata del numero dei partecipanti all'ultima cena, preludio della passione, mentre quella del 17 all'anagramma del numero latino XVII, le cui lettere, riposizionate in VIXI, indicano "vissi”, ho vissuto e, dunque, sono morto".

Nella Bibbia si dice che il diluvio universale ebbe inizio un diciassettesimo giorno.

Ai pitagorici il 17 suscitava letteralmente orrore perché compreso fra il 16 e il 18, due numeri entrambi indicanti quadrilateri con area e perimetro uguali:
4+4+4+4=4x4 e 3+3+6+6=3x6

Di stanze d’albergo e sedili d’aerei col numero 17 non ve n’è neanche l’ombra e qualora davvero ci fosse, sarebbe contenuta in un goffo e scaramantico “16+1”.

Non dannatevi a cercare una qualche Strada Statale n.17. Non la troverete, dovessero mettervi a disposizione tutti gli operatori dell’ANAS.

Da ultimi gli enigmisti. Costoro anagrammano "tredici" in “certi dì" e "diciassette" in "d'estate scii". Dando così senso compiuto ad un’unica frase che rimanda nostalgicamente ad una calda e confortevole stagione marina ancor lungi a venire.


sabato 27 dicembre 2008

LA STRANA TOMBOLA DI EDIPO

Sembra facile dire ambo, terno, quaterna e cinquina ma non se a farlo è un enigmista

Devono avere un fisico da deliziosa silfide alla Haudrey Hepburn l'ambo e il terno. Col garbo di autentiche modelle indossano volentieri cappellini per cambiare d'aspetto. Basta metter loro una lettera in testa, e cioè davanti, e si ottengono l'esile gambo, lo scatenato mambo e l'indistruttibile e vendicativo Rambo; e quindi l'indeclinabile eterno, lo scheletrico sterno ed il poetico verno (per inverno).

Le lettere di quaterna invece, riposizionate, danno "quartane", che per essere una variante al plurale della malaria va senz'altro scartata a favore della innocua accezione che, in Sardegna, le identifica come quarta parte di una giara.

Ma, risolto un problema, ecco subito affiorarne un altro. Si tratta della cinquina. Per gli ambientalisti, innanzitutto. Quelli ignoranti, però. Almeno quanto le strombazzatissime fate di Ozpetek. Costoro, infatti, cesurano la parola coll'apostrofo leggendola "c'inquina", e allora capite bene che sulla tossicità della cosa, vuoi la respirazione, vuoi la traspirazione, vuoi l'alimentazione o qualsivoglia altro veicolo di assorbimento, non vi sia bisogno di ulteriori chiose.

Non occorre essere napoletani veraci per sapere che ci sono le estrazioni del lotto, ma, Genesi permettendo, c'è anche quella del nipote di Abramo. Si dà infatti il caso che se togliamo "Lot" da "tombola", restano quattro lettere che sono le medesime di "ambo" cambiate di posto (anagramma). Beh, che la tombola contenesse l'ambo, così come il terno, la quaterna e la cinquina, è cosa talmente ovvia che anche la risibile ovvietà del maresciallo Jacques de la Palice avrebbe colto l'opportunità di sottintenderla.

Infine, per cambio d'iniziale, tombola dà bombola. E una bombola può sempre scoppiare. Come la pazienza di chi ha già letto le qui presenti righe.
Leone Pantaleoni



IL MENU DELL’ENIGMISTA

CENONE DI SAN SILVESTRO

Pidocchini malati un tantino legnosi=Antipastino di gnocchi unti al limone

Gas di peti di toro da pera marcia=Tiepida crema di asparagi d’orto

Lascito di muffa: non è marcita =Tranci di salmone affumicato

Oli veri in tapiri dorati=Ravioli ripieni di trota

Da Fano: sedici gatti matti or or castrati=Ottima torta di riso farcita di castagne

I nei di Vespa=Vini di Paese




San Silvestro quanto meno strano quello dei seguaci di Edipo. Un po' come la loro testa, del resto. Pensate, per esempio, al menu del loro cenone. Avete presente il famoso dipinto di Munch? Quello dell'urlo? Ecco, a leggere le portate sulla parte sinistra del listino, è tutta roba da smorfie d’orrore e disgusto elevate alla massima potenza. Eppure, su quella destra, cose buone da mangiare, anzi buonissime. No, non siamo improvvisamente impazziti e, dunque, ci spieghiamo. L'apparente inconciliabilità degli accostamenti si spiega in un solo modo: l'anagramma. Vale a dire quel gioco dove riposizionando le lettere di una parola o di una frase se ne ottengono altre. E nel nostro caso ben altre, come vedremo.

Leggiamolo allora questo più antitetico che ambivalente insieme di cibi e bevande. Prima portata, a sinistra dell'elegante cartoncino (a proposito, portatevi subito una mano davanti alla bocca!): "Pidocchini malati un tantino legnosi". Ma a destra, il relativo anagramma, ci conforta, eccome, con un "Antipastino di gnocchi unti al limone" che è una delizia del palato. Seconda portata, dove - pensate un po'! - un sommamente stomachevole: "Gas di peti di toro da pera marcia", si traduce in una "Tiepida crema di asparagi d’orto". E così, di seguito, "Lascito di muffa: non è marcita" nasconde invitanti "Tranci di salmone affumicato" e "Oli veri in tapiri dorati" una delicatezza quale non può che essere una porzione di "Ravioli ripieni di trota". Ah, superfluo aggiungere che le nasute bestiole sono quelle generosamente elargite da Valerio Staffelli. "Da Fano: sedici gatti matti or or castrati" non è una dubbia specialità della cittadina adriatica appositamente ammannita in onore di ospiti vicentini, bensì una "Ottima torta di riso farcita di castagne". E, per finire, ovvero per annaffiare il desco come si deve, "I nei di Vespa" si traducono, grazie a dio (dio Bacco, beninteso), nei più genuini "Vini di Paese". Quale paese? Ma quello dove è giusto mandare autori di menu di tal fatta, naturalmente.



Leone Pantaleoni









venerdì 26 dicembre 2008

PANDOLFO COLLENUCCIO, COLL'ECO NON FU PLACIDO

PANDOLFO COLLENUCCIO

Ma quale 50 per cento di probabilità!
A un Gioachino Rossini che chiedesse: "Io son chi gira: sì? No?" la risposta sarebbe scontata al cento per cento. Il suo percorrer in lungo e in largo l’Europa è noto anche ai sassi. Ma si sa anche che al macinar di chilometri volentieri anteponeva quello dei molari. Era, insomma, una buona forchetta. Anzi, ottima; con tavole imbandite da far invidia a Lucullo e Trimalcione. Ragion per cui offrirgli anche uno solo di quei croccanti bastoncelli di pane sinonimi di dieta, sarebbe stato attentare più al suo vorace appetito che alla sua verace bonomia. Prevedibile allora la sbrigativa ribattuta del Cigno all’autore della gaffe: "Grissini? Oh, no! Ciao!".
Ebbene, essendo ciascuna delle due frasi sopra virgolettate composta dalle medesime lettere di “Gioachino Rossini” cambiate di posto, ne consegue che l’ anagrammare i nomi dei pesaresi illustri, con le sorprese, può riservare delle conferme.

Si pensi ad esempio al maiolicaro Ferruccio Mengaroni e al suo “Ci feci gran rumore, no?”. Chi potrà convincerci che il soggetto assai poco sottintesto non sia quella orripilante testa di Medusa che lo rese celebre?

Ma così non è per Giannandrea Lazzarini. Il suo "Aneli ingannar? Azzardi?", seppur nel promuoverlo da abate a cardinale, ce ne mostra una faccia nascosta e inquietante alla Richelieu. O alla Mazzarino.

Anacronismi a parte, all’umanista, storico e poeta Pandolfo Collenuccio non deve andar a genio un genio come l’Umberto per eccellenza. Il suo anagramma: "Coll'Eco non fu placido" lo dice forte e chiaro. All’osannato semiologo non resta perciò che alzare le mani nel nome della resa e non della rosa.

Più marziani che arcani gli anagrammi di
Lucio Accio ("Cucilo, ciao!")
Sara Levi Nathan ("A sera l'han vinta")
Vincenzo Molaroni ("Marzo non civile? No!")
Odoardo Giansanti (“Agii, dannato sordo!”).

Non pertinenti gli anagrammi di
Terenzio Mamiani (”Tre imam in azione” per un protagonista del Risorgimento?)
Scevola Mariotti (“Scovò i tre malati”, ovvero, gli odiosi panni del monatto per un esimio linguista?).

Impertinenza al limite dell’insulto con quelli di un Simone Cantarini alla Jerry Calà ed una Vittoria Toschi Mosca alla Karine Huff. I loro rispettivi "Smanie in Cortina" e "T'amo sciator, ti schivo!" san tanto di cinepanettone prima maniera (vedi “Vacanze di Natale” firmato da Carlo Vanzina un quarto di secolo fa).

Ma il colmo dell’irriverenza si raggiunge con una beata Michelina Metelli in versione Ave Ninchi ("Ella mite? Men chili!"). Caspita! Proprio ai santi, adusi ad alimentarsi di sola particola?



Leone Pantaleoni

lunedì 22 dicembre 2008

SE IL DISTRETTO E’ SOLITARIO

D'accordo che l'occhio vuole la sua parte e che il custodire il corpo dei trapassati è atavico indice di civiltà, ma nella perentoria promessa: "Quando muoio mi faccio cromare!" sembra esserci un tantino di mal spruzzata esagerazione. A parte che non vorremmo essere il malcapitato carrozziere cui fosse demandato l'arduo compito, ma ve la immaginate una scena che giammai potrà competere con la bellissima Shirley Eaton, la quale, nel film Goldfinger, viene spogliata di tutto ma ricoperta d’oro quasi fosse la statuetta di un Oscar?
C'è strafalcione e strafalcione, è vero, ma quelli propostici dall'amico Enrico Sirri, ci dimostrano che nel distretto sanitario di Fano e Mondolfo, anzi "solitario", come ha detto un fantasioso assistito che c’è da presumere si candiderà al Nobel per la simpatia ma non per la letteratura, davvero non si scherza. Esempio: ti capita di ripensare al “Carthago delenda est” e dunque alle tre guerre puniche, ma se poi ti senti dire: "Dottore, nel ginocchio avrò la Cartagine finita?", ti chiedi per che cosa mai abbiano combattuto con le unghie e coi denti, del 241 al 149 a. C. i romani. E ti convinci, con buona pace della coppia Montanelli-Gervaso e della storpiata cartilagine, che ci sono sorprendenti modi di rileggere in chiave risibile la storia. E l'emozione dove la mettete? Al medico che domanda quanto sei alto, può rispondersi con la data di nascita. A quello che chiede dove si è nati, col dire: - A casa -. Come l’Alice di Lewis Carroll ci s’ immerge nell’antro dell'assurdo con la raggelante constatazione: "Da quando ho avuto l'incidente mortale non ci sento più!". E ci si fa un baffo di Einstein e delle sue geniali implicazioni sulla relatività del tempo con "Dottore, anche la prossima volta c'era lei?". Il buon Raspelli non se ne avrà per un "Devo fare la gastronomia (per gastroscopia)", né Branko o Paolo Fox s’offenderanno per un esame astrologico (per istologico)”; e nemmeno Mario Tozzi troverà da ridire per una visita geologica (per ginecologica)”. Sul Viagra che diventa Biafra, l'istintivo sorriso subito si spegne, pensando che in quella tormentatissima terra africana il problema è caso mai di mortalità e non di natalità. E da ultima c'è una lista di nomi strani. Di pazienti, intendiamo. Pazienti anche perché accettano stoicamente di portarli. Si tratta di Argenide e Aniceta; Cedelia, Cleriano e Cocimo; Ervilio ed Esilde; Giannarda, Illo, Ivia, Iuria e Liglia; Marla, Nellusco, Sollide, Serrandino e Stellindo; Titovezio e Tritolemo; e, per chiudere in chiave europeistica, un Olso che sembra ma non è la capitale della Norvegia e un Vilna che, per davvero, è il nome italianizzato della capitale lituana.


Leone Pantaleoni

venerdì 19 dicembre 2008

UN NATALE POLITICAMENTE CORRETTO

Alcuni consigli natalizi all'insegna del politically correct: con buona pace di Bing Crosby e della sua irripetibile "White Christmas", non chiamatelo più Bianco Natale, per favore, perché i neri potrebbero offendersi. E se proprio non ne potete più e l'incontinenza ha il sopravvento, allora lasciatevi andare col dire, che so, abbronzato. Dimostrerete di non avere né fantasia partenopea, né stile anglosassone, d'accordo, ma almeno non incorrerete in un inemendabile vulnus degli altrui diritti.
E passiamo alla messa. No, non la messa solenne della notte di Natale, ma la messa al bando del termine Bambino riferito a Gesù. A parte che "Bambino" era il soprannome di Bud Spencer nel film "Lo chiamavano Trinità", la qual cosa è tutto dire, appare assai più consono al pensiero moderno chiamarlo Gesù Diversamente Adulto.
D'accordo, è una frase per niente scorrevole e meno ancora orecchiabile, ma volete mettere?
A proposito di orecchie, anche sull'asino ci sarebbe da dire. Metterlo accanto a tre magi, tre sapienti per eccellenza cioè, lui che è simbolo della negligenza e, quel che è peggio, della scarsa capacità d'intendere, per cui nemmeno gli si può dire che è intelligente ma non si applica, beh, un tale accostamento sembra quanto meno contraddittorio. Un ossimoro al pari di ghiaccio bollente e silenzio eloquente.
E il bue? Dove lo mettete il bue? A parte il sinistro rimando al letale morbo di Creutzfeldt-Jakob (la mucca pazza); a parte che sostituendo la "b" iniziale con la "l" si ottiene lue, una volgare malattia da postribolo, quelle corna sono un mal dissimulato ammiccamento alla crisi della famiglia e, per i più blasfemi che più blasfemo non si può, alla condizione di padre putativo di Giuseppe.

Per carità di patria, allora, e per consonanza di fauna, al posto del bue mettiamoci un cammello. Già la parola comincia con "Cam" che era uno dei figli di Noè, e la cosa non stona; nel peggiore dei casi si dovrà rischiare il vischioso sputo che certe simpatiche bestiole lanciano d’istinto in faccia alla gente. Una scorrettezza mirata - pare - solo verso chi è paladino di un Natale politicamente corretto.

Leone Pantaleoni

QUATTRO CUORI E UNA CAPANNA


Si scrivono diritti degli omosessuali ma si leggono mancanza del senso del ridicolo. Il fatto: in quel di Amsterdam l'organizzazione denominata "Dutch ProGay Foundation" ha inteso costruire un presepe vivente con due Giuseppe e due Marie. Cosicché il noto detto raddoppia e da due cuori e una capanna, diventa quattro cuori e una Capanna con la maiuscola.
Come ben si comprende, l'allusione alle coppie omosessuali, assai più che un'allusione, è una ostentata provocazione, e, quel che è peggio, un attestato di piena conformità alle regole della più malintesa modernità. Regole europee, ci mancherebbe. Di quella Europa che mentre a parole sbandiera l'imprescindibile valore della erigenda unità (sulla curvatura delle banane? Sul numero dei bernoccoli dei cetrioli? Sul sesso delle amebe?), sta menando vigorosi colpi di zappa, anzi, di ... Zapa (da Zapatero) alle proprie fondamenta. Come si vede, laicismo e relativismo - questa sì che è una vera coppia stabile e prolifica! - sta moltiplicando i suoi "benefici" frutti. Ah, dimenticavamo, il presepe con due Giuseppe e due Marie (no, non avete alzato un po' il gomito, sono proprio due!) l'hanno chiamato "Natale rosa". A noi ci sembra tanto un refuso. Per significare "Ma quale Natale è mai questo?", si sarebbe dovuto scrivere "Natale, cosa?".
Leone Pantaleoni

sabato 13 dicembre 2008

I PRIMI 100 ANNI DI ERMELINDA

Correva il 13 dicembre 1908 ed era venuta al mondo da appena 15 giorni allorché la città di Messina veniva sconvolta dal terrificante terremoto. Ma lei si trovava altrove, al centro dell’Italia, protetta tra quella dolce campagna dell’entroterra cagliese che comprende anche la piccola frazione di Cai Marini. Parliamo di Ermelinda Bendelli che oggi, sabato 13 dicembre 2008, compie i suoi … primi cento anni.
la neo centenaria Ermelinda Bendelli

Inutile sottolineare i grandi festeggiamenti che le hanno riservato nella sua accogliente residenza di Cagli la figlia Giuseppina e il genero Ennio; e quindi i nipoti Alessandro, Cristina, Fabrizio, Francesca e Sandro, a cui s’aggiunge, coi pronipoti Alessandro, Federico, Francesco, Giulia e Lorenzo, un chilometrico stuolo di parenti ed amici. Priva di studi ma letteralmente plurilaureata in quella primaria scuola di saggezza che sempre è la vita con tutte le sue variegate esperienze, adusa anzichenò al sacrificio, quando i sacrifici si scrivevano soltanto con la esse maiuscola, nonna Ermelinda è di grande, grandissimo esempio per tutta la sua biblica discendenza. Non per nulla “Cara nonna” le hanno affettuosamente e simpaticamente scritto in un bigliettino i nipoti “ridendo e scherzando siamo arrivati al fatidico giorno!”. Ma Ermelinda, nella sua vita, tra duro lavoro nei campi e defatiganti faccende domestiche, di ridere e scherzare ha avuto davvero poco tempo. Avrà però modo di rifarsene oggi.


Leone Pantaleoni

venerdì 12 dicembre 2008

LE CATACOMBE DEL XXI SECOLO


Natale o Pasqua, croce o presepio, c' è un equivoco di fondo quando, nel pretendere di spogliare i luoghi pubblici dei propri simboli religiosi, si pensa di agire ad eroica difesa della libertà. E, peggio ancora, quasi fosse vittima designata del peggior Torquemada, di finalmente sottrarre il nobile pensiero laico contemporaneo dalla ignobile e bimillenaria mordacchia papalina.
Dovrebbe quanto meno far sorgere un minuscolo dubbio il semplice fatto che, per estensione, un tale intendimento condurrebbe a situazioni di assoluto e surreale paradosso, quali la mutilazione o schermatura di un numero incalcolabile di opere pittoriche, scultoree, architettoniche, paesaggistiche ed artistiche in genere. Nonché l'abolizione di una quantità illimitata di manifestazioni popolari, dove folklore e liturgia si fondono fino a confondersi.
L'errore prospettico di base consiste nel ritenere che nell’esporre apertamente il proprio credo, esibendone riti e mostrandone simboli, significhi collidere con quello altrui, fino a lederlo. Oppure far violenza su chi dichiara di credere, sì, ma soltanto a ciò che sia riconducibile ai suoi cinque sensi. Se, come nel primo caso, davvero si sostiene di non volere offendere credenze diverse, significa che di queste ultime se ne riconosce, almeno indirettamente, il valore. E, dunque, perché, condiviso o meno che sia, negarlo invece alle nostre? No, non si vuol declinare il proprio credo, si obietterà, ma limitarlo. Relegandolo al privato. Ma, in tal guisa, non verrebbero di nuovo confinati i cristiani nelle catacombe? Nei bui, umidi, soffocanti e franabili cunicoli sotterranei del “severamente vietato professare manifestamente”? Ed in questo modo, miliardi di credenti, quali che fossero la natura ed il grado della loro fede, non dovrebbero guardarsi bene dal praticare insieme, in un nascondimento che non fosse anche il più impenetrabile possibile? Non appare strana e sospetta, allora, quella libertà che nel mettere sarcasticamente all’indice la chiesa di ieri perché occultava pudenda di nudi artistici, di ciò che è arte sacra vorrebbe oggi nasconderne il tutto, perché tangibile spia della sua ispirata e rivelata matrice? E così, in nome di tale libertà, con dipinti arlecchinescamente tappezzati da risibili toppe e con sculture e monumenti donchisciottescamente ingabbiati in goffe armature, non si ammanterebbe anche di macabro il ridicolo di una già tirannica pretesa? E non appare mostruosamente sinistro che una simile libertà abbia anche a pretendere di farsi scrivere, essa soltanto, con la elle maiuscola? Cosicché, se un giorno di questi, il Cristo del Corcovado dovesse venir abbattuto alla maniera delle torri gemelle, invece che a terroristi islamici, si dia prima di tutto la caccia ai paladini della più edificante libertà.


Leone Pantaleoni

UN ALBERO DI NATALE PIENO DI ENIGMISTICA

Le magie edipiche di "Leone da Cagli" ammaliano i giovani neo cresimati di San Pietro in Calibano
Indubbio successo hanno riscosso le due serate che la nutrita parrocchia (circa 6.000 anime!) di San Pietro in Calibano, grazie ai due padri francescani Roberto Brunelli e Christian Perugini, coadiuvati da ben altri 13 animatori, nella vicinanza del Natale, ha inteso dedicare a giochi della mente quali rebus, sciarade, crittografie, indovinelli, acrostici, acronimi ecc. chiamando quale ospite Leone Pantaleoni, da sempre il Leone da Cagli della Settimana Enigmistica. Tra i vari conigli usciti dal cilindro del prestigiatore, hanno suscitato divertita ilarità gli anagrammi (parole o frasi composte dalle medesime lettere cambiate di posto) "ad personam" appositamente dedicati da Pantaleoni ai giovani partecipanti (i due corposi gruppi di neo cresimati chiamati Kauma ed Effata). Dai quali stralciamo: Lucia De Simoni = Il muso dei cani; Cristian Girolomoni = Risano conigli morti; Monica Casadei = Sadica o nemica. Marco Vagnini = Mica gran vino! Nicola Del Bianco = Coi belli d'Ancona. E, per i melomani, Monica Pentucci = Puccini m'è canto; Antonella Crisci = Lirica non scelta; Diego Ugolini = I due loggioni. Chiusura col botto sia con alcune definizioni tratte dal "Vaccabolarietto" (vocabolario rivisto e ... scorretto) di Leone, quali: "Arcigno = Rossini, quando non gli gira" e "Caminetto = Il più incapace dei figli di Noè", e sia con due testi davvero particolari. Un dialogo fra marito e moglie di 123 parole tutte principianti con la lettera "p" (tautogramma) ed un testo di 103 parole dove non vi sono vocali che non siano la sola "a", la quale, per altro, compare ben 181 volte.

PER QUESTE FESTE UN EDIPO DI NOME PIERINO


Partendo dal rosa per giungere al marrone, anagrammi come colorati addobbi di un improbabile albero natalizio

Non è detto che sian sempre i tipetti alla Pierino a farne vedere di tutti i colori. E neanche i venditori di cravatte. E, in giorni come questi, neppure gli addobbi natalizi. A recriminar posto in materia vi si aggiunge Edipo (simbolo dell’enigmistica da quando sciolse il fatidico indovinello della Sfinge) con gli anagrammi. Sapete, quel gioco che dallo spostamento di lettere di una parola (o frase) ne ottiene un’altra o altre. L'esempio classico è quello di Roma, da cui si ricavano ramo, orma, mora, amor, Omar, armo e marò, e da cui si vede come a condurre alla città eterna, al pari di tutte le strade, siano ben sette anagrammi (un per ciascuno dei suoi sette colli?). Gli esempi? Si dice rosso acceso ma se si propone un improbabile "rosa arso", l'accostamento scricchiola ma l'anagramma è saldissimo. Verde o nera, se vedo un' "oliva viola" significa che invece di dieci Martini al seltz mi son fatto un solo anagramma. E dei più lisci, per giunta. A proposito di verde, si sa che, davanti al semaforo, si vorrebbe sempre "veder verde" onde evitare l’odiata sosta. E non è “veder-verde” un anagramma? Quando sta un po’ lì “l’aglio”, da bianco, diventa “giallo”. Cosicché, per ossidazione, diventa anche un anagramma (l’aglio-giallo). Evitato di mettere il fatidico dito, tra moglie e marito, quasi fosse la più pettegola delle vicine di casa, ci può infilare l'anagramma. Infatti, se il coniuge è nero di rabbia, basta dargli un "bacino" e lui diventerà "bianco". Sempre in tema di menage familiare ci si aggiunge la tinta delle pareti della cucina. Lei la vorrebbe "arancione". - "Non c'è aria!" - protesta lui. – Più della claustrofobia ti dà ragione l’enigmistica! - ribatte la dolce metà ("arancione" e "non c'è aria" sono un anagramma) - ma io ti do torto lo stesso! – (e qui la metà è decisamente meno dolce). Poteva infine mancare l'inquinamento? Certo che no. E allora ecco spiegato perché il "Reno" è "nero" ed il "Mar Nero" è "marrone". Noi, allora, continuiamo pure a prendercela con il petrolio e con gli scarichi industriali, facendogli un baffo all'anagramma. Da sotto il quale ‘lui’ se la ride.


Leone Pantaleoni

venerdì 5 dicembre 2008

ATTIVITA' RECENTI E PROSSIMI IMPEGNI DI LEONE PANTALEONI

Un ritratto di Pantaleoni
fattogli da un alunno della 4C della Scuola Giansanti.
Dopo le cento ore effettuate dall’ottobre scorso nelle scuole elementari e medie superiori Anna Frank, Dante Alighieri, Don Gaudiano, Odoardo Giansanti e Giosué Carducci, e dopo la prima di due lezioni programmate con l’UNILIT di Pesaro (la seconda si terrà martedì 16), ancora due serate (martedì 10 e mercoledì 11) all’insegna dell’enigmistica per Leone Pantaleoni.

Leone Pantaleoni (a sinistra) con l’insegnante Ernesto Fucci e gli alunni della 3A della Scuola Anna Frank.

Si tratta d’incontri programmati con due gruppi di cresimandi della Parrocchia di San Pietro in Calibano, guidati da Don Roberto Brunelli. Il “Leone da Cagli” della “Settimana Enigmistica” (recentemente premiato dal popolarissimo settimanale per il suo numero 4000, con una medaglia-scultura di famoso artista giapponese) proporrà per l’occasione una varietà di giochi rigorosamente “vietati ai maggiori” e, non ultimi, gli inediti anagrammi (parole o frasi formati dalla stesse lettere cambiate di posto) dei nomi dei giovani partecipanti. Insomma, è come se il buon Edipo, emblema dell’enigmistica da quando sciolse il famoso quesito della perfida Sfinge, si fosse un poco vestito da Babbo Natale; dal cui sacco, invece dei doni, traboccano rebus, anagrammi, sciarade, indovinelli e chi più ne ha più ne risolva.

VARIAZIONI SUL TEMA

Ma davvero si può ridere con la lacrimosa febbre del sabato sera di Maria de Filippi?

Per Pippo Baudo, a scelta, dopo la sfida-kamikaze con Maria De Filippi:
“C’è posto per te (all’ospizio)” o “C’è batosta per te”.

Per l’italiano e i rincari dei generi alimentari di prima necessità:
“C’è pasta per te”.

Per l’italiano medio, a detta della sinistra catastrofista:
“C’è pasto per te” (alla mensa dei poveri).

Per Valentino Rossi in odore di formula uno:
“C’è pista per te”.

Per Cecchi Gori, ma riferito a Valeria Marini:
“C’è tosta per te”.

Per l’inesauribile Simona Ventura:
“C’è sosta per te”.

Per Emanuele Filiberto di Savoia
“C’è Aosta per te”.

Per il terrorista rifugiatosi oltr’Alpe:
“C’è ‘Nulla osta’ per te”.

Per il radical-chic da Ambra Jovinelli:
“C’è aragosta per te”.

Per Alba Parietti in TV:
“C’è – Basta! – per te”.

Per la Sabrina Ferilli di qualche ritocco fa:
“C’è poster per te”.

Per tua suocera, ma, se riferito alla Magistratura, anche per Berlusconi. E, se riferito a Berlusconi, anche per il Lodo Alfano:
“C’è apposta per te”.

Per Fabio Briatore, da tutti noi, ma riferito ad Elisabetta Gregoraci:
“C’è tosta per te”.

Per Elisabetta Gregoraci, da Fabio Briatore:
“C’è ‘caro mi costa’ per te”.

Per Fabio Briatore in yacht, in cerca d’approdo:
“C’è costa per te”.

E, per finire, un classico, per Alessandro Manzoni:
“C’è peste per te”

Leone Pantaleoni

VITTORIO FELTRI, UNDICI ANAGRAMI


Egregio Vittorio Feltri, direttore del quotidiano “Libero”,
dedico al tuo nome e cognome gli 11 anagrammi (parole o frasi compioste dalle medesime lettere cambiate di posto) che seguono:
1) E li trovo fritti (i tuoi giornalisti a pagine chiuse?)
2) Otto veri filtri (fumatore accanito, volgari ed irriverenti bisensi a parte, ma quante pipe ti fai al giorno?)
3) Vetri rotti? Li fo! (le tue energiche e vittoriose battaglie)
4) Forte ti rivolti! (ancora, le tue energiche e vittoriose battaglie)
5) Ti volti, feritor (ma infine, anche la nobile compassione per i vinti)
6) Tre forti, li voti? (Berlusconi, Bossi e Tremonti?)
7) Lì vi fo tre torti! (sui fondi di Libero?)
8) Fo tre vili torti (e, se occorre, sai esser anche un po' carogna!)
9) Il trotto ferivi (denunciando i mali del tuo sport preferito)
10) I veri flirt? Otto! (ma dai, hai una moglie e degli annetti di troppo!)
11) Trovi rettifilo! (quando, alla guida della tua tastiera vai, chi può fermarti?).
Leone Pantaleoni

LAUREATA ALLA ... BOCCONA

Qualsiasi sia il tema del dibattito, dall'aumento planetario della temperatura, alla diminuita produzione di chissà cosa nella zona di vattelapesca, su qualsivoglia canale ed a qualunque ora del palinsesto, Alba Parietti è tra gli opinionisti presenti. Immancabilmente. Inesorabilmente. Domanda che più semplice non si può allora: a quale titolo? Vuoi vedere che è semplicemente raccomandata a compensare un mancato programma? Mah, a chi è là dove si puote ciò che si vuol, l'ardua risposta!
A meno che, visto il ritocco alle labbra, non si sia davvero laureata. Dove? Ma alla ... boccona, naturalmente.
Leone Pantaleoni

lunedì 1 dicembre 2008

NATALE A CAGLI

il famoso presepio in miniatura di Gerio Massi
che risale agli anni ’60


Grazie al Comune, alla Pro-Loco ed all'Associazione Commercianti, per i 22 giorni che decorrono dal 20 dicembre all'11 gennaio, anche quest'anno Cagli potrà mettere in mostra suggestivi presepi nelle sue bellissime chiese. Inoltre, sabato 13 e domenica 14 dicembre, all'interno della cattedrale, un gruppo di artisti potrà inscenare la sacra rappresentazione della natività. In quei medesimi giorni, con pronta replica nel successivo week-end del 20 e 21 dicembre, sarà la volta del superbo Palazzo Mochi Zamperoli, a cui toccherà il compito di ospitare un Mercatino Natalizio traboccante d'invitante mercanzia a basso costo. Si tratta di un corollario d'iniziative che oltre ad aprirsi come un ricamato ventaglio attorno alla festività che per eccellenza ricorda la venuta in terra del figlio di Dio, ha già raccolto in passato un indubbio successo di critica e di pubblico. La qual cosa ribadisce il concetto che i cagliesi, quando ci si mettono, lo fanno come Cristo, pardon, Gesù Bambino comanda.


Leone Pantaleoni


A PROPOSITO DI ARTE

Come tanti altri, sono anch’io nel novero di coloro che partecipano alle frequentatissime lezioni settimanali di storia dell'arte annualmente tenute dal professor Rodolfo Battistini alla Università dell'Età Libera. Sessantatré annetti appena suonati, lo faccio per diletto e per difetto. E cioè per ovviare alla primigenia lacuna di non aver potuto godere della materia a tempo debito, quando un più giovane cervello meglio avrebbe compreso e immagazzinato. Ho quindi dovuto ripiegare sulle consuete scorciatoie dell'autodidatta. Quali il compulsare libri, dispense e riviste; oppure il navigare, non di rado senza approdo, su Internet; o ancora nel drizzare le orecchie dinnanzi ad uno dei rari e mal collocati servizi che la TV, grazie ad affabulatori di grido (ma quelle di Sgarbi, qui, non c’entrano), tra orrori di ravvicinati parenti, remote isole, piccole talpe e grandi fratelli, si degna di dedicare a quella "Trimurti del bello e del vero" che risponde ai nomi di Pittura, Scultura ed Architettura.

doppio particolare del ratto di Proserpina del Bernini,

argomento di una delle ultime lezioni del Prof. Battistini
Ed è forse per mera legge di compensazione che la cieca fortuna, per una volta oculata, ha fatto sì che m'imbattessi in Rodolfo Battistini. Il valore di storico e di critico del Professore, ormai prossimo a quella eccellenza degna della miglior considerazione, è cosa più che risaputa. La sua capacità di farsi intendere in barba al diabolico intrico d’ineludibili rimandi nozionistici, è cosa di cui sono a perfetta conoscenza tutti coloro che per un verso (lezione scolastica) o per un altro (pubblica conferenza) han modo di sedere dinnanzi alla sua cattedra. Ma Battistini fa di più. Vi aggiunge qua e là, dosandoli con meticolosità farmaceutica, quei “quanto basta” d'ironia, a tratti autoironia, che, mai fuori dalle righe, nello strappare divertiti risolini, elude il fisiologico calo d’attenzione. E libera gli argomenti da quella polverosa patina di seriosità che v’han depositato nei secoli, coi loro blasoni, mecenati col rango di papi o cardinali, imperatori o re. Oppure, coi loro danari, banchieri e mercanti ricchi sfondati.

Leone Pantaleoni




SE QUESTA E' ARTE


Contrariamente agli uccelli del cielo che hanno un nido ed alle volpi che hanno una tana, il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo.
La sedicente modernità ha però fatto di più, lo ha persino sfrattato dalla sua terribilmente scomoda croce. E’ arrivata, quindi, la sedicente arte. E sulla quella croce vi ha issato una rana.
Fu così che la sedicente modernità e la sedicente arte, ritte di gongolante superbia ma barcollanti della ebbrezza d’una sedicente libertà, si son incamminate l’una di fianco all’altra verso il baratro.


Leone Pantaleoni

.

01) Crittografia (frase: 7 6)
B S

02) Crittografia (frase: 7 7)
DB HPO

03) Crittografia (frase: 4 2 4)
NOME DELL'AT.ORE BANFI

04) Crittografia (frase: 4 10)
- CATINO -

05) Crittografia (frase: 7 2 5)
- QUI.T. LETTERA .. UN ALFABETO -

06) Crittografia (frase: 5 2 4)
- CH.SSA' -

07) Crittografia (frase: 8 7)
- VR VR VR VR TO -

08) Crittografia (frase: 3 4 4)
- TELEFONATEMI! -

09) Crittografia: (frase: 6 1 2 1 4 2 = 2 4 1 3 6)
D... DI NASCITA

10) Crittografia: (frase: 4 4 2 2 2 = 6 8)
IN QUEL PO.TO

11) Crittografia (frase: 8 2)
SONO RIMASTO LI’

INVITO AI CAGLIESI

INVIATEMI UN COMMENTO COL VOSTRO NOME, VI FARO' L'ANAGRAMMA.

GLI ANAGRAMMI DEI CAGLIESI

chi sono questi ?

(nome: 9, 8) = "PANCETTA CON SFREGI" Piercing mal eseguito?

(nome: 7, 7) = "RE FRA LE DOMANDE" Novello Mike Buongiorno?

(nome: 5, 7) = "CARDAR ALBERI"
Ma non era la lana?

per le soluzioni...