martedì 31 marzo 2009

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA SINDONE NELL’IMMINENZA DELLA PASQUA

Amante degli scacchi (nel 1991 pareggiò a Modena con il pluricampione del mondo russo Anatolij Karpov) ed enumerato tra i più apprezzati enigmisti italiani (un suo rebus che vinse il più ambito dei concorsi, quello della Settimana Enigmistica, è stato definito “capolavoro” dagli specialisti ed ha trovato pubblicazione in numerosi testi fra cui la Enciclopedia Zanichelli di Ludolinguistica e lo spagnolo “Dioccionario de Enigmistica”), Leone Pantaleoni è prima di tutto appassionato di Sindone.Sindone che egli studia ininterrottamente da 24 anni e sulla quale, dal 2008, in vari circoli e scuole, anche elementari, tiene conferenze. Ecco perché, nell’imminenza della Pasqua, Vivere a Cagli ha voluto porgli alcuni quesiti sull’argomento. -
Nel 1988 la Sindone fu sottoposta all’esame del radiocarbonio che la dichiarò un falso medievale …
-“Quella indagine fu condotta come peggio non si sarebbe potuto. Affidata a scienziati tra cui alcuni dichiaratamente ostili all’autenticità del lenzuolo che non permisero alla parte cattolica di assistervi, e sottolineo assistervi, non tenne conto dell’inquinamento del campione sottoposto ad ogni genere di vicissitudini, fra cui almeno due disastrosi incendi; quindi non rispettò affatto il protocollo, primo fra tutti il cosiddetto ‘blind test’”. -
E cioè?
“Dei quattro campioni sigillati negli speciali contenitori d’acciaio e mandati ad analizzare, tre di datazione nota più quello sindonico, la loro provenienza, proprio come carte coperte e rimescolate, avrebbe dovuto rimanere sconosciuta agli analisti durante il corso delle operazioni. E invece, in un clima di menzogne e sospetti, essa fu rivelata da subito e i campioni medesimi sottoposti ad una serie d’incontrollate manipolazioni. Ma non basta, perché, nonostante le reiterate sollecitazioni, gli scienziati continuano ancor oggi, inspiegabilmente, a rifiutarsi di rendere pubbliche le letture dei calcoli effettuati, particolarmente complessi nel caso del metodo applicato e dunque assai facilmente soggetti ad errore. Infine, come mi ha ribadito Vittorio Messori proprio nei giorni scorsi, vi si aggiunga il custode che non custodì e che permise ai carbonisti di rendersi autori di tutte le scorrettezze riferite. Il cardinal Ballestrero, buonanima, accettò supinamente il verdetto è non tardò a dichiarare la Sindone un’icona”. -


E invece?
– “Invece si tratta di una reliquia e addirittura una presenza, come ebbero a dire, rispettivamente, papa Giovanni Paolo II e Paolo VI.” -
C’è chi ha ipotizzato la Sindone un’opera del genio dei geni, ossia, Leonardo da Vinci ...
– “Primo: c’è qualcosa a questo mondo che non sia stato attribuito a Leonardo? Secondo: la Sindone venne venduta a Ludovico di Savoia da Margherita de Charny il 23 marzo 1453 e Leonardo, nato il 15 aprile dell’anno precedente, aveva 11 mesi e 8 giorni. Quando si dice la precocità! Se davvero ne fosse lui l’autore, si tratterebbe di un miracolo più sbalorditivo della veridicità del telo”. -
Per concludere?
– “Concludere non è verbo che si addice alla Sindone. Comunque dirò che nonostante i sofisticatissimi metodi d’indagine, gli scienziati del terzo millennio non riescono a comprendere come si sia potuta formare quella immagine. Senza sbavature di sangue e residui ancorché minimi di elementi putrefattivi, e con sorprendenti informazioni tridimensionali. Comunque seppur goffi, i tentativi di spiegazione convergono verso un un’unica ipotesi d’approccio” -
Quale?
– “La smaterializzazione del corpo che ha fatto afflosciare la Sindone su se stessa”.

lunedì 23 marzo 2009

CAGLI RETROCESSO

Le vittorie del … Leone non bastano

SCACCHI A SQUADRE SERIE C - GIRONE 18

La vittoria di Leone Pantaleoni (tornato al gioco vivo dopo 15 anni di assenza) che a Jesi aveva fruttato al Cagli un prezioso pareggio, stavolta è stata inutile e non ha salvato la sua squadra dalla retrocessione.
fanesi e cagliesi in posa: da sinistra in piedi:
Faini, Hassan, Sanguinetti, Pantaleoni, Pompili e Tomassini.
Accosciasto l’accompagnatore del Fano “Armando”.
Vittima, per l’occasione, il pur bravo fanese Secondo Genga, maestro nel gioco per corrispondenza, battuto nonostante il vantaggio del tratto da una Difesa Francese protrattasi per 52 mosse (l’errore decisivo è stato però commesso al tratto numero 16).
Dunque, soccombendo a Fano per 2 a 1 e 1 patta (Edoardo Sanguinetti-Ettore Fronzi) grazie alle vittorie di Fathi Hassan su Ugo Pompili e Marco Faini su Ubaldo Tomassini, il Cagli è matematicamente retrocesso a una giornata dal termine di questo combattuto campionato italiano a squadre di scacchi (serie C, girone 18). Intanto, con la vittoria interna sulla Dynamo di Urbino, il Castelfidardo guida la classifica a punteggio pieno con p.6 e gli basterà pareggiare l'ultimo turno di domenica 5 aprile con Jesi (p.5) per tagliare vittoriosa il traguardo. Derby pesarese del tutto accademico sarà invece lo scontro fra Urbino e Cobattente Fano, entrambe a quota 2 punti.

LA SINDONE SPIEGATA AI BAMBINI

La Sindone, il lenzuolo di lino che secondo la tradizione avvolse il corpo di Gesù deposto dalla croce, è testimone silenzioso d'inaudite sofferenze e di una morte la più crudele. Ecco perché non è facile spiegarla ai bambini. Ma non impossibile.
Lo sconvolgente volto dell'Uomo della Sindone,
come apparve nel suo primo negativo fotografico
del 1898.
A farlo ci si proverà stamattina, lunedì 23 marzo, con le quinte elementari della Scuola Carducci, il noto enigmista Leone Pantaleoni che dell'argomento si occupa dal lontano 1985. "Come già accade con il crocifisso" puntualizza Pantaleoni "la Sindone è prova tangibile d'un amore inaudito e oggi scandalizza e disturba. Guai a intaccare un'idea di famiglia conforme a quella del Mulino Bianco, dove la violenza dei videogiochi è invece supinamente e pacificamente accettata". Va da sé che lo svolgimento del tema non può prescindere dalla proiezione di una serie di immagini che non siano naturalmente le più crude.

mercoledì 18 marzo 2009

FESTA ENIGMISTICA DEL PAPA’

A parte il Padre Nostro delle preghiere di sempre e il padre mostro dei telegiornali di questi giorni, parola breve ma stimolante è papà. Sotto l’aspetto enigmistico è sia monovocalica che monoconsonantica (possiede la sola a e la sola enne). Se ne teniam ferma la lettera iniziale e ne capovolgiamo la parte restante, sempre papà si legge. E dunque, in edipico crescendo, papà ha persino valenza di antipodo. Non basta: sillabicamente parlando, papà è parola palindroma, perché le sue due sillabe si leggono allo stesso modo anche cominciando dalla seconda verso la prima. Privata dell’accento, papà dismette calzoni e camicia e indossa l’assai più impegnativa ed autorevole veste del papa. Un giorno, sedendogli accanto durante la presentazione del suo libro “IL QUADRATO MAGICO” scritto a quattro mani con Vittorio Messori, avrei voluto chiedere allo scrittore Rino Camilleri se i figli da piccolo lo chiamavano confidenzialmente papà…Rino. Lui ha sorriso, forse per non piangere. O forse semplicemente perché di figli non ne ha non essendo sposato. Padre per antonomasia è San Giuseppe. E se il nome Giuseppe volessimo ribaltarlo come un calzino, non dovremmo scriverlo Eppesuig ma … Suignorò. Perché su è l’opposto di giù e ignorò di seppe. Quisquilie? Pinzillacchere? Quasi certamente. Ma che tengono il cervello allenato e aiutano a mantener a debita distanza le malattie del cervello. Ecco cosa suggerisce al cultore di giochi di parole la Festa del Papà che si celebra oggi, quasi in sordina. Senza rulli di tamburi e squilli di tromba, per intenderci. Anche se proprio della tromba, papà ne sembra il suono più onomatopeico.
Leone Pantaleoni

martedì 17 marzo 2009

QUANDO LA FICTION E' FINZIONE


La fiction su Giuseppe Di Vittorio conferma la regola di una professionalità che non c'è più e, quel che è peggio, della quale non se ne sente più neanche il bisogno.
Se non tutte le sceneggiature possono essere firmate da Zavattini, Flaiano, Pasolini o Suso Cecchi D'Amico, tutte devono essere migliori di chi ne scrive di superficiali e di burattinescamente asservite a quelle ideologie che sempre sconfinano nell'utopia. Prima fra tutte la più falsa e bugiarda di un mondo spaccato tra buoni e cattivi come la lavagna d'una scuola. Sappiamo bene che in quelle tribolate terre la regola dei pochi sfruttatori e dei molti sfruttati non concedeva eccezioni che non fossero caso mai a favore dei primi. E dunque non è questione di schierarsi con gli uni invece che con gli altri. Si tratta soltanto di non dimenticare che mai i buoni stanno tutti da una parte e che mai essi sono buonissimi angeli opposti a cattivissimi demoni. Ricordo che nei grandi romanzi il virtuoso ha sempre qualcosa del vizioso e viceversa, e che nel leggerli, nel sentirmi vittima con la vittima, avvertivo come inquietante la sensazione che c'era in me qualcosa del carnefice. Ecco cosa distingue un testo di valore dagli altri: mentre noi lo leggiamo, ne veniamo letti.
Tornando a bomba, invito i distratti a rileggere la fiction di cui sopra dove, tanto per fare un esempio, il prete, ben più che una macchietta, è un odioso bamboccio carnevalesco aggrappato alla tavola imbandita del padrone 24 ore su 24. Un personaggio più in cartapesta non lo avrebbe concepito nemmeno la più ottusa lettrice di romanzetti rosa. Possibile che in quel di Cerignola, il pretazzo, non avesse altro da fare, come ad esempio un parrocchiano ch'è uno da accompagnare al camposanto?

Leone Pantaleoni

venerdì 13 marzo 2009

UNA RACCOLTA DA NOBEL

Si può per la ennesima volta citare quel liberatorio "E' una cag... pazzesca?" ? Lo si può fare anche se al posto della Potemkin c'è un'altra corazzata, anzi … corazziata che fa rima con "raccolta differenziata"? A conferma di ciò soccorre la stessa arte enigmistica del riposizionare le lettere d'una frase per formarne altre. Infatti, se il giochino lo facciamo appunto con "raccolta differenziata", quelle 21 lettere diventano: fracido, fetenzia, altra c.... Dove quella c seguita dai puntini di sospensione ci rimanda alla cag... di cui sopra, di Fantozziana memoria. Non siamo dei competenti, d'accordo, ma non per questo le eccelse menti che la raccolta differenziata hanno concepito, potrebbero zittirci con dati e grafici da far rabbrividire un sondaggista o un meteorologo. E non abbassiamo la cresta anche perché come dimenticare nostra nonna materna che per tirare avanti da sola la famiglia in periodo bellico e post bellico aveva fatto ricorso al sacrificio e col sacrificio al buon senso? Che scuola di vita la Marietta! E’ proprio da quella sua umile cattedra di quinta elementare che ho imparato come l'istruzione sia gran cosa ma mai quanto il buon senso. Quello stesso che ci dice adesso dell'assurdità del pretendere d'una raccolta differenziata.
Ben vengano ordine e pulizia in senso civico oltreché domestico, ma è cosa ragionevole costringere il cittadino a compiere lo sforzo quotidiano del dover selezionare la spazzatura secondo regole da far concorrenza al modello 740? E' possibile che prima di gettare un rifiuto nel cestino, il malcapitato debba andarsi a guardare la tabella di classificazione degli elementi? Davvero arriveremo a dover separare la monnezza a seconda dalla singola natura dei suoi componenti? Il sodio nel contenitore del sodio, il cloro in quello del cloro, il magnesio in quello del magnesio e così di seguito fino allo stronzio, che, diciamolo senza peli nella lingua, meglio s'addice alla 'stronzia' innovazione. Di questo passo, dove andremo a finire? Dovremo differenziare l'osso di ciliegia da quello d’oliva? Oppure dovremo portarla di persona alla discarica l' immondizia? D'accordo che da qualche annetto a questa parte il premio Nobel è diventato cosa risibile assai, ma vi pare ammissibile che per liberarsi dei rifiuti come pubblica amministrazione comanderà dovremo essere insigniti di quello della chimica?


Leone Pantaleoni

QUEI PRETI VISIBILI E INVISIBILI

Non si può prescindere dall’immanente e men che meno dal trascendente

Seppur con il dovuto rispetto, è operatori del bene comune che li chiameremmo. Ma chi? I sacerdoti più frequentemente ospitati in TV. Gente brava, bravissima, per carità, ma dalla quale il cumulo delle cose da fare sulla terra occlude la visuale a quelle del Cielo. Gente sulla cui bocca parole come Padre, Figlio e Spirito Santo, che pure caratterizzano un segno fatto ogni giorno miliardi di volte da migliaia di anni, non compaiono mai. Gente per la quale il nome di Gesù fa rima con tabù e dalla quale, per ascoltare il termine "sacramento", bisogna attendere la improbabile frase che contenga la prima persona del presente del verbo sacramentare. Paradossalmente visibili e invisibili al tempo stesso, sacerdoti del genere li senti parlare di cose fattibili o non, fatte e da fare, pratiche, materiali e contingenti; ma se li vedi per la prima volta a trasmissione già cominciata, dal loro eloquio non cogli una vocale o un accento che ne dia a vedere l’ appartenenza al “popolo eletto”. Nel suo libro "Pecore e pastori", il cardinal Biffi ricorda come oggi più che mai la carità pastorale corra il pericolo d’essere svuotata del suo significato dal cosiddetto funzionalismo.

Don Antonio Mazzi

E non è raro constatare come alcuni conduttori di gregge cadano vittime dell'influsso d’una mentalità che tende a tarparli delle ali del trascendente. "Fare il prete” e svolgere servizi sociali diventa così tutta quanta la loro essenza. Tale concezione, riduttiva della primaria identità di testimoni di Cristo in terra, rischia di spingere la loro vita verso un baratro che alcuni s’illudono addirittura di riempire ricorrendo a forme di vita sempre meno identitarie con l’abito che indossano. Il pane invocato nel Padre Nostro è sì dorato frumento, ma prima ancora è sfolgorante Ostia.


Leone Pantaleoni

giovedì 12 marzo 2009

SINDONE, IL CUSTODE CHE NON CUSTODI'

A vent'anni di distanza, ritenuta ormai inattendibile l'indagine al radiocarbonio che la dichiarò un falso medioevale
Nel 1989 la Sindone, il lenzuolo che secondo la tradizione avvolse il corpo senza vita di Gesù dopo la crocifissione, fu dichiarata un falso medioevale. Furono tre scienziati di altrettanti laboratori ad affermarlo. Quegli stessi che la sottoposero ad un indagine al carbonio radioattivo che ne stabilisse gli anni di provenienza. L'analisi si basa sul principio che è possibile risalire all’età di un corpo dalla quantità di C14 che esso ha ceduto all'ambiente esterno dal momento della sua morte. Così è per le mummie, così è anche per i tessuti. Naturalmente non è come contare le dita di una mano. I calcoli sono affidati a formule empiriche di particolare complessità e i dati riscontrati sono sottoposti ad elevatissimi rischi, primo fra tutti la non perfetta pulizia del campione analizzato. A conferma di ciò ricordiamo che la radiodatazione è terreno che più scivoloso non si può e dunque tutt'altro che scevro da clamorose topiche. Due esempi fra tanti: ossa di pesce provenienti da Hong Kong, appartenenti al neolitico (almeno 3000 anni fa) han dato età inferiori ai 280 anni. Campioni di legno del I secolo avanti Cristo son stati fatti risalire a 5600 anni or sono. L'operazione compiuta sulla Sindone suscitò da subito numerose perplessità e oggi, a distanza di vent'anni, il crescente peso delle obiezioni, da gravoso che era, s'è fatto insostenibile, al punto da rendere inattendibile quel verdetto che pure fu enunciato con una perentorietà inammissibile al rigore scientifico e che rasentò addirittura la tracotanza. Relegata a reperto risalente al XIII-XIV secolo, la Sindone sembrò di nuovo riposta nel sepolcro e sigillata per sempre dalla pesante pietra circolare. Ad onor del vero, ciò che da principio si rivelò davvero inspiegabile fu la supina sottoscrizione da parte del Cardinal Ballestrero, allora custode del Telo, delle unilaterali e inaccettabili condizioni poste dai carbonisti. Ovvero che alle loro analisi non dovessero partecipare, in qualità di semplici osservatori si badi bene, né i rappresentanti della parte cattolica, né un pool di scienziati statunitensi che della Sindone s'era occupato 11 anni prima con ispezioni le più svariate e rigorose, effettuate con strumenti sofisticatissimi. Stessa cosa dicasi per l’elaborato conclusivo degli astrusi calcoli una volta determinate le quantità, calcoli che a tutt'oggi sono un mistero inaccessibile. Da noi interrogato in proposito proprio nei giorni scorsi, il famoso scrittore e giornalista Vittorio Messori ci ha risposto testualmente: "Sul defunto Ballestrero ho scritto sul Corriere cose che non gradì; titolo eloquente dell'articolo: 'Il Custode che non custodì'. Quando l'ex re Umberto decise di donare la Sindone alla Santa Sede, questa fu obbligata in qualche modo a darne la custodia all'arcivescovo di Torino, che allora era appunto Ballestrero. Non poteva affidarla ad altri... Da qui la disastrosa gestione di quell'uomo, ottimo predicatore ma amministratore carente e con certi suoi schemi 'antisoprannaturalistici".
Leone Pantaleoni

Il volto dell’Uomo della Sindone come comparve

a Secondo Pia che la fotografò per la prima volta.

Più che un’immagine, una presenza


CONFERENZE SULLA SINDONE




L'enigmista Pantaleoni a disposizione delle parrocchie per tutto il periodo quaresimale

Per il periodo di Quaresima il noto enigmista Leone Pantaleoni si mette a disposizione di parrocchie, circoli e associazioni di Pesaro e provincia per tenere conferenze (una per ciascuna località) sul tema della Sindone, il lenzuolo di lino che secondo la tradizione ha avvolto il corpo di Gesù dopo la crocifissione. E' dall'inizio degli anni ‘80 che egli segue con interesse avvenimenti e pubblicazioni riguardanti il sacro lenzuolo. Non ultima la sempre più contestata datazione al radiocarbonio del 1989 che lo relegò a reperto archeologico del XIII-XIV secolo. Dal 2007 Pantaleoni ha avuto modo di intrattenere sull'affascinante tema Circoli Unilit, Lyons, e confraternite della nostra provincia. Dal momento che per un argomento del genere è impensabile il mancato uso del relativo supporto visivo, coloro che intendessero aderire alla gratuita iniziativa, nel munirsi di uno schermo in cui poter proiettare immagini di un Personal Computer, possono contattare Pantaleoni per telefono (0721-30245, 3407160966) o tramite E-mail (
lpanta@alice.it).



GENETICA. ANZI, GE...NATICA

Va bene, genetica. Ma se poi le notizie che la riguardano invece che dalla testa provengono da una diversa parte del corpo, allora la genetica diventa ge...natica. Esempio: il gene delle corna agirebbe sull' ormone chiave nel processo d'attrazione sentimentale e sessuale.Posseduto il quale, si sarebbe più inclini al tradire. La scena: rincasata all' improvviso e trovato il consorte a letto con l'amante, la moglie, per nulla sorpresa, esclama: "Caro, sei incorreggibile: hai di nuovo dimenticato di prendere le pillole contro la vasopressina!". Eh, sì, perché è proprio vasopressina che si chiama il gene delle corna. E così, di gene in gene, si cade nel ridicolo più di Gene Gnocchi. Scoperti tra gli altri quello della magrezza e dell'obesità; del maratoneta e dell'umorismo, del legame tra intelligenza e longevità. Fino al gene che ci fa fumare la prima sigaretta. Per ovvie e non limpide ragioni, escluso dalla lista delle priorità è il gene che fa credere che tutto dipenda da un gene. Si può ridere o sorridere, d'accordo, ma senza dimenticare che a fondamento di tali enunciati ci sta un non veniale presupposto: far passare il concetto d'un uomo senza libertà di scelta, essendo che le sue azioni sono in realtà reazioni, e, come tali, rispondenti a leggi incontrovertibili di causa e d'effetto. Esempio: se uccidere una persona dopo averla rapinata potesse esprimersi con un numero, mettiamo il 4, significa che omicidio e rapina non sarebbero altro che il risultato della somma del gene 1 col gene 3. La domanda cruciale diventa allora: che si fa, a questo punto, si giudica? Ma si può giudicare una somma che è aritmeticamente ineccepibile? 1+3 dovrebbe forse fare qualsivoglia altro numero diverso da 4? Ma se non siamo giudicabili, neanche siamo perseguibili. Ecco allora crollare, con l'istituto penale, anche quelli educativo e religioso. Infatti, se non incarceriamo più l'assassino, lo stupratore, il ladro e l'usuraio, nemmeno mamma e papà sgrideranno più Pierino che dice parolacce irripetibili, non studia e fa scherzi così pesanti da mettere a repentaglio la incolumità dei nonni. Né il sacerdote in confessionale gli darà un'adeguata tirata di orecchie penitenziale. La parola è rimessa nelle sole mani della scienza, tenuta a mantenere sotto la soglia critica dell'irriverente scavezzacollo il tasso dei geni della 'sboccacciatina, della 'svogliatina' e dell' 'incoscientina'. Discorsi che fanno ridere o piangere? Forse. Ma, dovessero far ridere o piangere, da quale gene dipenderà?

Leone Pantaleoni


sabato 7 marzo 2009

8 MARZO, UNA FESTA FUORI DI TESTA

Enigmisticherie a ruota libera per il giorno dell'anno dedicato alla donna

Amma, onna, anagramma non fa rima con donna. Ma quasi. A riposizionare le lettere di 'otto marzo' si ottiene 'orzo matto'. Ecco, è proprio d'un otto marzo alla caffeina, un po' fuori di testa cioè, che vorremmo stavolta parlarvi.
Cominciando da un indovinello del Corriere dei Piccoli di tanti anni fa: - Sai chi è lo sponsor della Festa della donna? Ma Marz’otto, naturalmente! - .
Tra Festa della donna e donne importanti il passo è breve e tra quelle simbolo c'è senz'altro Elena di Troia, il cui intonato anagramma è 'eroina da lite'. Spostandoci in Egitto, l’anagramma di Cleopatra si traduce invece in 'pera colta' che se da un lato richiama il peccato originale sotto forma di frutto proibito, dall'altro fa tanto rima con pera cotta. Magari alludendo ad un Antonio rincitrullito da Eros. Domanda: c'è un'invettita contro un Brunetta ante litteram in Anna Bolena il cui anagramma è 'banale nano'? Alessandra Mussolini ci dà un 'Sarò la missina nel Sud!' che, per essere sorprendente, è anche eloquente. Se Julia Timoshenko viene italianizzato in Iulia Timoscenco, ecco un curioso: 'Io comunista? Ciel!'. Ma torniamo alla donna in quanto tale. Negli scacchi essa è detta anche Regina o Dama e convoglia su di sé la valenza obliqua dell'alfiere che si muove in diagonale e quella lineare della torre che sfreccia su colonne e traverse. Alla faccia del sesso debole, è il pezzo più potente della scacchiera che non di rado decide l'esito della partita. L'8 marzo è anche il giorno odiato da ogni suocera. Il perché è presto detto: è la donna a cui più d'ogni altra si vorrebbe far la festa. A proposito, sapete come si fa a collaudare la resistenza d'un ponte? Ci si fanno passar sopra tre tir stracarichi di suocere. Se il ponte regge, bene. Se non regge, meglio. Il fiore dell'8 marzo è la mimosa che significa pudore. Oggi, riletto in sudore per quella mania molto femminile di frequentare maniacalmente palestre.

Nel 1946, anno in cui s'inaugurò la Festa della Donna, la mimosa era il fiore più economico. Adesso, con l’ultimo aumento stimato nell'ordine del 13 per cento, la pudica mimosa costa come l'impudica orchidea. Mimosa è anche il nome d’una stella della Croce del Sud che dista 353 anni luce da noi. Significa che se putacaso si fosse spenta il 9 marzo del 1656, proprio quando morì l'inventore del cannocchiale nonché eccezionale osservatore della Luna e di Marte, noi ce ne accorgeremo proprio l'8 marzo del 2009.
Leone Pantaleoni

STORIE QUOTIDIANE

GIORGIO PALMA, I COLORI DEL BIANCO E NERO

E' teledipendente Giorgio Palma e ne fa vedere di tutti i colori. Ma bisogna intendersi. Non si parla infatti di chi sta per ore dinnanzi ad una tivù e nemmeno di colui che è aduso combinarne di cotte e di crude.

Qui tela sta per quel tessuto dove il pittore trasferisce i suoi pigmenti dalla tavolozza. E i colori che Palma ci mostra non son altro che quelli dei suoi dipinti. Un dipinto che è una fantasmagorica esplosione di colore.
Del resto, non è un caso che sia uno il cui nome comincia con le prime tre lettere di Giotto... Inoltre, per semplice accrescitivo, si arriva a Giorgione, discepolo d'un tal Giovanni Bellini una cui superba pala è conservata proprio nei musei civici della nostra città. Anche il cognome ne ha una da dire; anzi due. Si tratta dell'omonimia con Palma il Vecchio e Palma il Giovane. Ricapitolando, Giorgione, Bellini e i due Palma, pur sempre di sommi pittori veneti si tratta. Forse è per questo che destino volle che Giorgio nascesse a Pordenone, ovvero in quel Friuli che è anche Venezia Giulia. Primi mesi vissuti a Talacchio, infanzia trascorsa a Sant'Angelo in Vado e quindi approdo in quel di Pesaro dove sposerà Vincenza che gli darà un maschio, Alessandro, e una femmina, Eleonora. Sono ormai vent'anni che Palma si dedica all'arte della tavolozza. In qualità di hobby, beninteso, e nel ritagli di tempo concessigli dall'orario di impiegato postale. "Da piccolo" confessa "scarabocchiavo tutti i libri di scuola. Il mio approccio con la pittura fu grazie a un amico vadese che la praticava. Esso divenne confidenza nell’andar con lui per mostre. Ma allorché m'imbattei in Kandiskij, fu travolgente passione. Considerato il creatore della pittura astratta, per Vasilij Vasil'evic Kandiskij il colore possiede addirittura un odore, un sapore e un suono. Il rosso dà sì l'emozione del dolore ma per le sue insite caratteristiche e non per l'associazione di idee rosso-sangue-dolore.
Il quadro che Palma ha dedicato a Kandiskij.

L'arancione esprime invece energia e movimento; il verde immobilità pressoché assoluta; il blu significa colore del cielo ma, se intenso, anche condizione di profonda drammaticità". Siano i pigmenti acrilici o a olio, i quadri di Palma sono il risultato di una prepotente creatività che come fulmini di Giove egli scaglia contro le sue tele. Ore piccole per piccoli ritocchi, "A volte" precisa "mi alzo a notte fonda e salgo in
mansarda ad apportare modifiche". E l'accenno alla mansarda non può non rimandarci a quelle in stile Bohémien. "Quando un quadro non mi piace, lo butto" taglia corto "e di questo mia moglie mi sgrida sempre perché sempre si tratta di opera meritevole. Come quella volta in cui una parente se ne portò a casa uno che avevo nascosto dietro un mobile in attesa di cassonetto. Ora la mancata crosta campeggia nel suo salotto e lei ne va fiera quasi fosse un trofeo di caccia”. Musica e letteratura, tra i suoi diversivi Giorgio possiede tutta la collezione di dischi in vinile dei Rolling Stones e i suoi libri vanno da Poe a Forsyth e Ludlum, passando per Conan Doyle. Due generi di lettura coloristicamente traducibili in nero e giallo. 54 anni da compiere, il nostro Palma né giovane nè vecchio, tifa Juventus. Come a dire che un pittore in technicolor come più non si potrebbe, ama la squadra che più in bianco e nero non si può.
Leone Pantaleoni

STORIE QUOTIDIANE

ANTONIO SILVESTRI, MOTO PERPETUA

76 anni il 29 agosto, ne dimostra venti di meno Antonio Silvestri.

La foto che più … Vale per Antonio.
Il suo negozio di Viale Cialdini vede quasi svoltare il traffico proveniente da Piazzale Carducci attraverso via Buozzi. Fruttivendolo, di ortaggi se ne intende. Non è però per questo che sa bene che derapata non vuol dire una rapa estirpata dal terreno ma quella sbandata laterale dove una moto, come cavallo imbizzarrito, sembra schizzar via di mano al pilota. Come per quei riflessi di cui al martelletto sul ginocchio, se gli dite geometria piana lui pensa al rombo e se gli dite geometria solida, al cilindro. Non a caso rombo e cilindro sono termini coniugabili anche nel campo dei mezzi di locomozione motorizzati. Pressata tra il "Bocconcino" e il palazzo di vetro, la bottega di Antonio non può dirsi spaziosa. Eppure, tra cassette debordanti di frutta e mensole incurvate di merce, riesce a contener appese, con un gigantesco poster, 20 coloratissime immagini di Valentino Rossi. Definito da qualcuno 'moto perpetua', con smaccata allusione al noto principio della termodinamica, il nostro personaggio è malato. Molto malato. Di motociclismo. A prostrarlo è il virus VR46 (iniziali e numero di gara di Valentino Rossi) "Ho cominciato con una Bianchi 125" esordisce "E quindi sono passato a una Morini di egual cilindrata e infine di nuovo ad una Bianchi, ma stavolta 250". Il suo terno al lotto è 46, 24 e 25; dove il 24 è il giorno di nascita della figlia, nonché il numero di stanza e di letto della moglie partoriente e 25 sono gli anni in cui è stato emigrante a Buenos Aires, dove vi ha svolto sia il mestiere di camionero (camionista) che di panadero (fornaio). Lì ha conosciuto la moglie Rita. "Questa è la mia donna" s’è detto appena vistala. E i 47 anni da cui stanno assieme dimostrano come in quel nanosecondo fosse contenuto mezzo secolo di matrimonio. "In Argentina ho visto correre Graziano Rossi su Morbidelli, mentre m'imbatto la prima volta in Valentino quando lui è sotto le mani del fisioterapista" racconta "Non so trattenere l'entusiasmo e gli sparo un “ciao!” da fargli venire un accidente. Al che egli, rivolto al suo preparatore, dice: - Chi è quel matto? -. Allora ecco avvicinarglisi un amico per avvertirlo: - Zitto, quello è il padre della mia fidanzata! -. La ragazza è lì ed ecco allora Valentino rivolgersi a lei per dirle, in perfetto stile Celentano: - Ehi, è forte tuo padre! –“. Davvero un’egregia imitazione dal motorizzato al molleggiato, in una sorta di spot che mai vedremo in televisione" Un’altra volta, sua madre” prosegue Antonio “ entrata nel mio negozio quando ero a far consegne, notate tutte quelle foto, nel chiedere a mia moglie: - Chi è il tifoso? - si sente ribattere: - Chel soned d’mi marit! -. Torna di nuovo la signora Stefania e visto che stavolta sono anch’io della partita, lei se ne sta a testa bassa per non farsi notare. Allora, con l'indice puntatole contro, mi avvicino e ruotando lentamente il capo fino ad incrociare i suoi occhi le dico con un filo di voce e due pizzichi d'ironia: - Mi sa che io a lei la conosco…- ”. Stoner o non Stoner, per Antonio, Valentino è campione inarrivabile. Ma su due ruote, beninteso, e mai su quattro, nemmeno se quelle della leggendaria Ferrari. E, sempre a detta di Antonio, le sue maggiori doti sono una inarrivabile furbizia che si traduce in una intelligenza volpina nel preparare le gare. “Fra le tante coppe di dolcissimo nettare che 'Vale' mi ha fatto bere” precisa “c’è un amaro calice che ancora mi disgusta il palato. Fu quella maledetta domenica 2 settembre 2007, quando a Misano gli andarono in tilt motore e mondiale proprio sotto la curva in cui mi trovavo, a due passi da me”. Ecco perché, sempre cinico e baro, il destino per una volta si mosse a compassione e volle che laddove il campione visse la sua più grande delusione, gli fosse accanto il suo più grande tifoso.




Leone Pantaleoni

martedì 3 marzo 2009

STORIE QUOTIDIANE

Athos Bernardini



Fa Athos di nome, come il moschettiere dai raffinati modi ma l'impugnatura della sua spada è un volgare manubrio. In quanto a cavalcare cavalca, anche se per sella ha un sellino e per quadrupede un bicicilo. E’ il barbiere che sta a via Cavallotti almeno quanto Figaro a Siviglia. Sempre tirato a lucido come una faccia appena sbarbata, il suo negozio si trova proprio dove il traffico giunto da viale Cialdini e da via Decio Raggi riparte a spron battuto dopo la curva. La passione per la bici gli è stata trasmessa da un cliente. Correva - mai verbo fu più intonato - l’anno 1984, quando al Festival di Pesaro esordisce il Viaggio a Reims di quel suo concittadino che di barbieri se ne intende e lui, per saltare da Rossini a Verdi, s'è imbolsito come un Falstaff. “Se vuoi dimagrire niente diete, ma una una bella bicicletta!” Ci va giù duro nel dirlo l’uomo insaponato che sta dalla parte morbida del pennello.

E' un'autentica folgorazione come quella che fece cadere Paolo da cavallo accecandolo; soltanto che ad Athos lo fa salire sopra una bicicletta aprendogli gli occhi. Al punto da fargli percorrere 40 km al giorno tutti i santi giorni; dal martedì al sabato (tra le 12,30 e le 15,15 con pranzo riassunto in un panino). Per addirittura raddoppiarli la domenica, nel giorno in cui anche il buon Dio si riposò. Così, per quanto il “tachimetro” ingrassa, Athos dimagrisce. Col tempo le dosi dei chilometri al dì diventano sempre più massicce: si va da una minima di 130 ad una massima di 210, passando per 140 e 170.

E se pedalare, per lui, è ormai come ridere, anche il piangere recrimina la sua parte. Come quella volta che s’imbatte in una giovane cicloamatrice tedesca la quale, smarrita la comitiva, butta lacrime come una fontana. Lei si lamenta in tedesco, lingua piena di consonanti, e lui non capisce un'acca. Si limita allora a consolarla gesticolando. Ce ne vuole ma alla fine, Athos in soccorso della giovane e mimica in aiuto alla retorica, lei si convince che presto o tardi gli amici arriveranno. La ragazza risolleva il morale e Athos la postura per rimettersi in sella all’adorata “Vicini” color rosso fiammante a 11 rapporti. Piangere no, ma a lui accade di piagnucolare. E’ quando, investito da un’auto pirata, rovina sull’asfalto e si spezza un braccio. Privazione indicibile, non tocca bicicletta per 60 giorni. Fatica disumana, riesce a far uso degli strumenti di lavoro. L'ultimo capitolo della serie incidenti si risolve in una bolla di paura; teatro d'azione è lo spiazzo di Mercatale di Urbino. Forse rapito dallo stupendo Palazzo Ducale, l’Athos che non frena, frana; e lo fa addosso ad una recinzione posticcia da restarvi malamente incastrato. Deve esser riaccompagnato a casa in macchina nemmeno fosse un onorevole. Ma non è un’auto blu, perché di quel colore ci sono soltanto i suoi tanti lividi. Non si fanno però attendere i giorni migliori. Quelli del pedala pedala e non fermarti mai. "Sempre a pane e acqua come un carcerato" tiene a precisare, rifiutando come fiele persino uno soltanto di quei rigeneratori di sali minerali che sembrano oransoda. Sì, è tempo di fare il conto della serva: a una media di 15.000 chilometri all’anno, nei 25 intercorsi dal 1984, il signor Bernardini (questo il cognome) da Montelabbate (dove è nato 52 anni fa) ha macinato la bellezza di 375.000 chilometri. Significa che a luglio di quest’anno, con buona pace di Jules Verne, egli avrà percorso nientepopodimeno che la distanza che separa la terra dalla luna. Davvero un’impresa da primo sbarco del '69, con annessa cronaca a due di Tito Stagno da studio e Ruggero Orlando da New York. Anzi, un'autentica performance da extraterrestre. Ecco perché del suo nome Athos basta adesso scomodare le due sole prime lettere. Perché? Ma per chiamarlo AT e far il verso all’E.T. di Rambaldi, alieno per eccellenza e “befano” che vola a cavalcioni d’una bici.
Leone Pantaleoni

STORIE QUOTIDIANE

Elio Giorgini

Sposato con Olga dal 1946, ovvero 3 anni oltre le nozze di diamante, idraulico in pensione dal 1969, due figli maschi e due nipoti femmine, compirà ben novanta primavere Elio Giorgini il 19 novembre che verrà. Significa che sta marciando con l'età assai più di quanto non abbia fatto con i piedi nei sette anni da soldato.



Sole, pioggia o neve, alle 10 in punto
Elio Giorgini è nell’edicola Spinaci
ad acquistare il suo “Carlino” quotidiano.

Da militare, infatti, era in marina e non in fanteria. Imbarcatosi come “fuochista artefice” sulla Canòpo, di ardente, oltre al giovane cuore che adesso abbisogna di pace-maker, non aveva tizzoni di carbone ma vapore, perché le sue mansioni erano di addetto alla caldaia. Alle quali erano complementari tutti gli annessi e connessi che favorissero massima efficienza e perfetta manutenzione dei motori. Lo scapolo Elio Giorgini aveva 19 anni quando si arruolò; bello da somigliare nientemeno che a Massimo Girotti, divo dal fisico scultoreo, come Girotti faceva impazzire le ragazze.



“A proposito di gonnelle” ci dice chiaro e tondo “quando mettevo i piedi nella terraferma, non era di musei in cui potessi trovare opere di Leonardo o Raffaello che chiedevo informazioni ma..." impercettibile pausa "... di dove fosse la più vicina casa di tolleranza”. Seconda impercettibile pausa, un velo di mestizia sul volto e... “In analoga circostanza, oggi mi limiterei invece a domandare d'un bagno pubblico“. Beh, con buona pace del comune senso del pudore e del non comune genio artistico, un modo più efficace di ricordarci come con gli anni concupiscenza faccia sempre più rima con incontinenza, forse non c’era. La Canòpo era una torpediniera dalle 1.000 tonnellate di stazza. Lunga poco più di 80 metri e larga poco più di 8, esercitava una potenza di 19.000 cavalli vapore e raggiungeva una velocità massima di 34 nodi. Munita del consueto armamentario tra cui 4 siluri e 20 mine, contava un equipaggio di 99 uomini, 5 dei quali tra ufficiali e sott’ufficiali. In rigorosa osservanza del rifarsi a nomi astronomici che si rifanno a loro volta alla mitologia, il nome Canòpo è quello d'una stella: la più luminosa, nel cielo notturno, dopo Sirio. Non a caso, la capo squadriglia si chiamava Cassiopea, come la costellazione. La spola fra Cagliari e Durazzo, quella fra Crotone e Gallipoli e quindi fra Napoli e Taranto, un continuo andirivieni per scortare uomini e materiali senza mai sparare un colpo, neanche in aria in segno d'intimidazione. Elio, allora, si sentiva turista in crociera e non di rado, con quel suo pesarese schietto, graduato o no che fosse, chiedeva all'interlocutore di turno: "Ma maché, la guerra, la fem o no?". Fu accontentato. Eccome se fu accontentato. Tre anni dopo, nel porto di Tripoli. Quando sopraggiunsero, minuto più minuto meno, le tre del primo maggio 1941. Destino beffardo: era la prima volta che la Canòpo approdava in continente africano. La Canòpo - capite? - il nome d'una stella tradito dalla buona stella! Furtivo e ben mirato, l’attacco degli inglesi colpì dapprima a poppa.
“Dormivo nella mia cuccetta a fianco di quella del comandante” ci dice Giorgini col tono un po' concitato di chi rivive attimi che non si scordano e che si ricordano come se fosse adesso “quand'ecco il suono delle sirene lacerare l’aria. Alcuni istanti sotto il crescente rombo degli aerei e quindi il fragore delle prime bombe che sembra strapparti cervello e orecchie.
Secondo le consegne, mi dirigo verso il deposito munizioni ma un compagno mi dice a gran voce di mettermi in salvo. Allora corro in coperta, mi tuffo e nuoto con braccia che roteano come eliche di motoscafo. Tra colonne di acqua e di fumo, bagliori di fuoco e puzzo di materiali che bruciano; tra urla di dolore, grida d'aiuto e assordante rumore di munizioni che esplodono, è l'inferno. Devo la vita all'aver dato ascolto a quel consiglio e nell'averlo fatto nel modo più rapido possibile: un solo attimo d'esitazione e sarei finito tra quei morti e dispersi che furono una trentina". A causa dei pirotecnici scoppi a catena della santabarbara, la Canòpo non tardò ad affondare. Ma senza inabissarsi. Beffarda consolazione dei superstiti, quel vedere il suo macabro relitto rimaner affiorante come una carcassa di balena che galleggia. “Una volta a riva, mi ritrovai una scheggia tra le maglie di un calzettone”. Frammento di una "stella cadente" di nome Canòpo a cui la stoffa aveva impedito di raggiungere la carne. Acuminato pezzetto di metallo che aveva passato da parte a parte la scarpa destra. Sinistro cimelio che fa rima con Elio e che Elio Giorgini tenne comunque a ricordo di quella terribile notte”.



Leone Pantaleoni

STORIE QUOTIDIANE

Giuseppe Delfino





Sepolto sotto una pila di Settimane Enigmistiche che quasi lo sottrae alla vista dei passanti o di chi gli siede a gomito; sole, pioggia o neve, lui è sempre lì. A cavallo d'una seggiola, col bastone in mano quasi fosse uno scettro. E se non avesse il fisico minuto che ha, lo paragoneresti al monumento equestre d'un parco, esposto, appunto, al capriccio di tutte le temperie. Sta seduto ad un tavolo del locale "Dolce e Caffè", proprio dove via Cavallotti bagna i piedi in via Battelli prima di tuffarsi a pesce nell'Adriatica.
E a proposito di pesce, lui fa Delfino di cognome e Giuseppe di nome. Ma al legno ha sempre anteposto il metallo; e precisamente quello degli elettrodomestici che ha riparato con perizia per otto lustri. "Belli quegli anni" ci dice "quando le formose contadinotte mi pagavano in natura". Strabuzzo gli occhi ma lui subito precisa: "Cos'ha capito? Intendo con conigli, polli, pane e vino di produzione propria; nonché altre ruspanti e caserecce squisitezze che oggi te le sogni". E lo dice quasi con un sospiro, forse pensando che a quei tempi lui era lungi dall’aver collezionato gli odierni 76 giri intorno al sole. Davvero lontani i tempi del servizio militare, quando - pensate un po' - era esperto in esplosivi; mentre oggi non può nemmeno sentire i botti di capodanno. A volte all'opera c'è proprio un intero pool. Visto che a Giuseppe si aggregano i coetanei Sergio e Pino e la giovane Alessia che, alle cose arabe dell'enigmistica, ha unito quelle cinesi, con un viaggio fin laggiù per impararne la lingua. Con grande soddisfazione di Brunetta, un vero e proprio orario d'ufficio senza sbavature il suo: dalle 11,30 alle 13 del tardo mattino e dalle 18 alle 20 del tardo pomeriggio. Con vacanze non pagate, da godersi quando il simpatico "Gigi", Luigi Vasòli all’anagrafe, chiude il locale per ferie.
E senza mutua, ci mancherebbe. A proposito, di tempo per dilettarsi di enigmistica ne ha avuto Giuseppe; coi suoi dieci interventi chirurgici dieci subiti. Davvero un campionario da trattato di medicina, il suo: ernie discali, cervicali e lombari; ernia inguinale e calcoli al fegato; interventi all'occhio e al ginocchio; quest'ultimo con tanto di protesi multiple che lui chiama sportivamente "pezzi della Ferrari" facendo l'occhiolino a Montezemolo.
Ah, dimenticavamo, i suoi giochi preferiti sono "Una gita a ...", che è un cruciverba con foto- cartolina di volta in volta dedicato ad una località italiana, e i rebus. I rebus di "Leone da Cagli", tiene a precisare. Ma sulla sincerità di quest’ultima precisazione permetteteci di dubitare fortemente.
Leone Pantaleoni

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01) Crittografia (frase: 7 6)
B S

02) Crittografia (frase: 7 7)
DB HPO

03) Crittografia (frase: 4 2 4)
NOME DELL'AT.ORE BANFI

04) Crittografia (frase: 4 10)
- CATINO -

05) Crittografia (frase: 7 2 5)
- QUI.T. LETTERA .. UN ALFABETO -

06) Crittografia (frase: 5 2 4)
- CH.SSA' -

07) Crittografia (frase: 8 7)
- VR VR VR VR TO -

08) Crittografia (frase: 3 4 4)
- TELEFONATEMI! -

09) Crittografia: (frase: 6 1 2 1 4 2 = 2 4 1 3 6)
D... DI NASCITA

10) Crittografia: (frase: 4 4 2 2 2 = 6 8)
IN QUEL PO.TO

11) Crittografia (frase: 8 2)
SONO RIMASTO LI’

INVITO AI CAGLIESI

INVIATEMI UN COMMENTO COL VOSTRO NOME, VI FARO' L'ANAGRAMMA.

GLI ANAGRAMMI DEI CAGLIESI

chi sono questi ?

(nome: 9, 8) = "PANCETTA CON SFREGI" Piercing mal eseguito?

(nome: 7, 7) = "RE FRA LE DOMANDE" Novello Mike Buongiorno?

(nome: 5, 7) = "CARDAR ALBERI"
Ma non era la lana?

per le soluzioni...