venerdì 30 gennaio 2009

UN VELTRONI TRA DUE PESI … MASSIMI

A dar ascolto all’enigmista, con D’Alema c’è anche Moratti tra gl’incubi di Walter

Che sia celato nella vistosa verruca che ingombra il suo viso quel vezzo di Walter Veltroni di dar un colpo al cerchio e l'altro alla botte e quindi alla botte e poi al cerchio? Sta di fatto che la parte avversa, e buona parte di quella amica, lo hanno perciò ribattezzato ‘Signor ma anche’. Uomo dello slogan fulminante, soggetto e verbo e la frase è fatta, "I care", me ne curo, "We can", noi possiamo, lo slogan lui lo pesca sempre lì; anzi là, al di là dell'oceano, dove sostiene esservi da sempre la sua patria elettiva. Oddio, da sempre proprio no. Non quando, ad esempio, nel 1976, eletto segretario della Federazione Giovanile Comunista, di strali contro gli States ne lanciò da lasciarne priva la minuscola faretra di Eros o il corpo martoriato di San Sebastiano.
E comunista fa rima con enigmista. L’enigmista che stavolta vuole proporci alcuni curiosi anagrammi del suo nome e cognome; con la premessa che per ammessa licenza, la W è W ‘ma anche’ V. Cominciamo dunque con quel "Inverte: W l'altro!" che rigira il dito nella piaga del "maanchismo". Tutt’altra cosa è "Vive nel lottar": eroico e mitico, esso intende coglierne un corazzato aspetto guerriero che a guardar Veltroni, la sua prestanza intendiamo, non si direbbe.

Ma ecco che subito, nell'altra versione di "Travet nel livor" ricade di botto sulla nuda terra della miseria sociale e morale di stampo deamicisiano. Attuale capo dello “shadow cabinet”, da Governo ombra a Istituto Luce il passo è breve. Ecco perché, conoscitor della settima arte dai tempi dei cinegiornali di regime, ma più ancora di essa amatore e adesso anche armatore (vedi Festival di Roma), con lui ben si sposa l’anagramma "avvento triller" di sapore Hitchcockiano. Ma per quell’altro suo anagramma "Attor vil nel ver", è divorzio dal neo realismo alla De Sica. Beninteso, un De Sica non di nome Christian ma Vittorio.
A proposito, figlio di Vittorio, grosso dirigente RAI anni '50, anche la televisione ne ha da vendere per Veltroni. A cominciare da quel "La lor TV? E' re in TV!" che ironizza sulle reti di sinistra che l’hanno eletto a plebiscitario traghettatore dell’esule popolo democratico oltre il ‘mar rosso’ (il rosso dei Giordano e dei Ferrero, s’intende). Segue a ruota un "Latin lover! Re TV!" che ce lo presenta come un ibrido fra Fabrizio Corona e Vitaliano Costantino. Oh, com’è lontana, adesso, la compìta Maraini che, bocca a sedere di gallina, nel recensirgli un romanzo, lo accosta a Pirandello, collocandolo – altro che trono della De Filippi - sul piedistallo dei non comuni immortali. Tocca allora all’anagramma "Lor? Tra veline-TV!" di ricondurlo, come un Salvatore Sottile qualsiasi, fra i comuni mortali dai peccati emendabili ma, prima ancora, intercettabili. Da ultimo lo sport. E cioè quel calcio che a suo tempo lo vide attore non protagonista nelle partite del cuore. Giudicate voi se i due anagrammi del suo nome "W l'Inter, v'è altro?" e "L’Inter? Ovver alt!" non sono un ossimoro da prendere a calci perché, come il pallone, rotola da una parte all’altra del campo. Davvero un ‘qui lo dico e qui lo nego’ di grado massimo. Ma che almeno, per questa volta, è Massimo Moratti e non Massimo D’Alema.



LEONE PANTALEONI

IL PICCOLO DI VENEZIA

Ma non è un quotidiano, è il ministro Brunetta
Ci sono "Il Piccolo" di Trieste e "Il piccolo" di Venezia. Il primo è un noto quotidiano a diffusione locale. Il secondo è un notissimo uomo di governo a contestazione nazionale. Parliamo di Renato Brunetta, ministro molto mini e un poco nistro, da sinistro. RENATO BRUNETTA

"Urban tentatore"
"E' arte non brutta"
"Batterà un treno"
"Tra buon nettare”
"Berne tanto urta"
"Batta un terrone!"
"Ruttò tre banane"
"E' brutto tra nane"
"Or ne turba tante"

Lagunare verace, dinnanzi a lui sono state erette barricate e non ponti, qual è ad esempio quel Rialto il cui nome davvero sembra sbeffeggiarlo. Su di lui, anche perché sotto sarebbe stato arduo, ne sono state dette e scritte. Non parliamo poi dei vignettisti che vi han trovato una steppa sconfinata in cui far galoppare come selvatici pony mongoli i loro carboncini. Su Brunetta, allora, recrimina da ultimo un suo spazio anche l'enigmista. Ad esempio con l'anagramma; che consiste nel cambiar di posto le lettere d'una parola o frase per ottenerne altre. Se convenientemente riposizionate, quelle del suo nome e cognome danno risultati curiosi, dove il più politically correct ci pare quell' "Urban tentatore" che non scende a bassezze tali da farlo apparire Gulliver tra lillipuziani. Deve invece ricorrer al traslato l'anagramma che, con "E' arte non brutta", ci mostra che se Brunetta fosse un pittore non farebbe rima con mezza calzetta, perché qualcuno disposto ad apprezzarlo come al Gene Kelly d’ “Un americano a Parigi” ci sarebbe. Sul non conoscere ostacoli della sua ferrea volontà che qui, piuttosto, pare ferrata, "Batterà un treno" ha un sapore di avveratosi vaticinio; mentre, "Tra buon nettare", raffina il prodotto del suo agire da farlo diventare ambrosia. Liquore gradito a capricciosi dei, d'accordo, ma non per questo da bersi a ghiribizzo. Ad ammonirci a tal proposito è un quinto anagramma del suo nome, e cioè "Berne tanto urta". Da urtante a urlante, anche la più assatanata partigianeria recrimina la sua parte: "Batta un terrone!" lo incita; "Ruttò tre banane" lo vorrebbe mostro e "E' brutto tra nane", morto. Poteva infine mancare l'anagramma super partes? Ovvero quell' "Or ne turba tante" da riferirsi alle coscienze dei lavoratori dipendenti, dei quali coloro che fan Zeno di nome sono zero?

LEONE PANTALEONI



venerdì 23 gennaio 2009

SE BERLUSCONI SI FA BEFFE DI COLLEONI

Mai e poi mai consegnare un capo di governo in ostaggio all’enigmista

Silvio Berlusconi

BELLO SICURO VINSI

Sui suoi scrosci di parole non ci piove. Sulle sue discutibili battute non si discute. Sui suoi intransigenti giudizi non si transige. E, come se non bastasse, addirittura nel giusto ordine, le medesime vocali di Iddio nel nome. E' il signor Silvio Berlusconi, signori. Addosso al quale sono stati rovesciati i più frusti luoghi comuni e fatti scorrere i più impetuosi fiumi d'inchiostro. Rosso, per chi transita da sinistra, nero, per chi viene da destra, e simpatico, nel senso di volatile, per gli intellettuali da salotto, adusi a sniffare l'unica droga lecita che si traduce ‘puzzetta’ in italiano. Svizzero s'è fatto invece l’enigmista che ha pinzato le lettere del Signore di Arcore quasi fossero lilipuzziani ingranaggi d’un orologio. Il fine? Riposizionarle onde ottenere nuove parole. Il gioco è noto e si chiama anagramma; termine che per Silvio fa rima innanzitutto con mamma (la grandonna che fino a ieri gli è stata accanto); e soltanto dopo con programma (quello del suo governo). Per chi lo identifica con il Male Assoluto invece, anagramma fa rima con dramma e condanna: quello puntualmente inscenato per ogni sua elezione e quella ritualmente evocata per la unica e definitiva giubilazione. Da ultimo c'è diaframma, il muscolo addominale da ben impostare per ben cantare; ma anche per ben parlare: dalla pedana d’una balera o da un palco improvvisato d’una piazza, cose che, entrambe, al signor "Mi consenta" la natura ha consentito di fare con naturalezza. Silvio Berlusconi, dunque: 7 vocali e 9 consonanti che, se riordinate, si riposizionano in un "Bello, sicuro, vinsi" che davvero sembra la trasposizione in chiave moderna del ‘veni, vidi, vici’ di cesariana memoria. La qual cosa dà motivo di sospettare che la corona d’alloro gli calzi meglio della bandana. Improntati su vincere, il verbo che egli più ama, volano con le ali della Nike di Samotracia anche gli anagrammi "Or lui, il boss, vince", "Vince, o bulli rossi" e "Urlo: - Vince il Bossi! -". Mentre da "Un virile? Col Bossi?" penzolano come gonadi due punti interrogativi che la dicono lunga sul testosterone ‘one one’ di chi nulla ha da invidiare al personaggio equestre eretto a immortale triorchide dallo scultore Sansovino. A Colleoni, insomma, capitano di ventura come lo fu quel Gattamelata che fa rima con zucca pelata. A proposito, non dovrà mica spiegarlo Galliani che una palla in più del Bartolomeo condottiero è nulla in confronto alle decine di palloni che il Milan esibisce in uno soltanto dei suoi allenamenti!


LEONE PANTALEONI

A CARNEVALE OGNI SCHERZO … VALE

Tra castagnole, maschere e coriandoli, saliamo, con l’enigmista, sul carro di Edipo

Eterno pupo di carnevale, ecco Valentino Rossi, il nostro … Rossini volante.

Ed eccoci a fluttuare tra i marosi del Carnevale. Consigli per i naviganti, allora. Ai golosi, ma anche un po' superstiziosi: occhio alla castagnola perché è scalognata! Alla nobildonna convenuta al ballo: marchesa, giù la maschera! E a proposito di maschere: ad una Colombina da maritare (dandole del tu): combinalo! (sottinteso: il matrimonio). Ad un Meneghino omertoso (dandogli del lei): meno neghi! Ad un Balanzone col risvolto nei pantaloni: no balzane! Fine dei consigli. Seguono, ad un Burlamacco tra l’Olimpo e la Giamaica: Bacco al rum! E a un Gianduia tra il faceto e l’indiano: e la gaia indù? E quindi a Rugantino: è un ingrato? Per finire con Pantalone: la sua, è testa non pelata? Non ve ne foste accorti, siamo immersi fino al collo in quel gioco dove le lettere d’una parola si limitano a cambiar di posto senza scomparire (castagnola-scalognata, maschera-marchesa, Colombina-combinalo, meno neghi-Meneghino, Burlamacco-Bacco al rum, Balanzone-no balzane, Rugantino-un ingrato, Gianduia-gaia indù e Pantalone-non pelata). In tema di dischetti di carta colorata che di questi tempi si tirano a manciate addosso alle persone, nella frase: - E' inutile che facciate i cordialoni! Il costo dei coriandoli? Un ladrocinio! Li ho pagati e mi ci vuole un cordialino! -; in questa versione dicevamo, cordialoni, coriandoli, ladrocinio e cordialino sono quattro parole dove in ciascuna nessuna delle dieci lettere si crea, nessuna si distrugge, ma tutte o quasi si “trasformano” di posto. Non della massa ma del principio di conservazione della lettera alfabetica si tratta. Non da Lavoisier, dunque, ma da Edipo enunciato. In fondo è come quando, nel cercar l’introvabile, si riflette al pensiero che la casa nasconde ma non ruba. Ultima chiosa dedicata volentieri a quella sorta d’eterno pupo che è il nostro “Rossini volante” (anagramma di Valentino Rossi). Si tratta di “A Carnevale ogni scherzo … Vale”. D’accordo, è battuta più logora della cartapesta; ma a Carnevale … Vale la pena ripeterla.



Leone Pantaleoni

CONCITA, COME L’ENIGMISTA L’HA CONCIATA


Direttrice dell’Unità in punta di rimmel ma anche d'occhiali, ecco come definiremmo la signora Concita De Gregorio. Spagnolesca variante del participio passato del verbo concepire, nome declinabile è Concita. Per l'enigmista, intendiamo. Nello scritto, per reiterazione dell'ultima sillaba, diventa "concitata" e nel parlato può confondersi con la espressione "con Cita"; assieme alla scimmietta di Tarzan, cioè. Due varianti che non le si addicono come il lutto ad Elettra, in verità. Per aggiunta di vocale Concita diventa "conciata", e non è detto che lo sia per le sole feste visto che il giornale esce anche nei giorni feriali. Per cambio di vocale si trasforma sia in "concuta", imperativo d’un verbo obsoleto scalzato da inculcare, che in "c'incita"; nel senso di "ci stimola". E, visto un suo recente editoriale in cui s’è lamentata di come i maschietti non sian usi tirare lo sciacquone (è forse per questo che sembra avere la puzzetta sotto il naso?), quali funzioni fisiologiche favorisca, è presto insinuato. Per cambio di consonante Concita dà sia "condita" che "concisa". Gastronomia a parte, il primo può anche essere termine figurato secondario, ma è certo che il secondo è primaria virtù di chi pratica l'arte dello scrivere. Per riposizionamento delle sue vocali e consonanti, Concita si trasforma in "contaci" o in "ci conta". Nell'un caso rimanda ad una icastica rassicurazione data dal direttore di testata all’editore che, nel voler fortissimamente qualcosa, la ordina fingendo di chiederla; e nell'altro alla irritata sorpresa d'un comitato di redazione che, con l’autoritario capo che l’ha appena convocato d’urgenza, si sussurra all’orecchio: "Ma che fa costei, ci conta?". Va da sé che riferimenti a fatti realmente accadenti al civico 25 di via Francesco Benaglia, sede romana dell'Unità, sono del tutto casuali. Ah, a proposto di Unità, lo sapevate che in chiave edipica, la semplice “I”, scrivendosi così in numeri romani, può definirsi “il corrispondente romano dell’… Unità”? Tornando invece agli anagrammi (dal greco anà, a rovescio, e gràmma, lettera), le lettere di Concita De Gregorio possono convenientemente ridisporsi in "Gioco di corte, regina!" e "Cretina, oggi (abbi) decoro!"; entrambi poco esaltanti per l'assai poco sottinteso soggetto femminile. Perso per perso, tanto vale optare allora per quel minaccioso invito: "Decretino oggi, caro!", che pure, in quanto a decreti, fa sorgere spontanea la domanda: - Ma non è la sinistra quella che un giorno sì e l’altro pure grida allo scandalo per un presunto abuso di simili provvedimenti? -.

LEONE PANTALEONI

ATTENTI AL LUCIO

LA CURIOSITA’ – Col Carnevale è arrivato Lucio Dalla e l’enigmista ha avuto qualcosa da dirgli

LUCIO DALLA
Lucido al “la”
Qui di seguito, proponiamo l’inedito pezzo che Leone Pantaleoni, il Leone da Cagli della “Settimana Enigmistica”, ha dedicato a Lucio Dalla per la sua recente visita nella nostra città. Il cantante ne è rimasto assai incuriosito, al punto d’includerlo nel gradito novero degli omaggi ricevuti:

"Gli occhi di Lucio", dunque. Il libro che il Lucio della "canzone mai canzonetta" ci ha proposto ieri, a dimostrazione della sua eclettica ed inesauribile vena artistica. Certo, non è che adesso possiamo dimenticare di botto le sue stupende canzoni; tante e mai troppe. E non se le dimentica l'enigmista che di alcune di esse, dei loro titoli cioè, ce ne propone quel curioso gioco del riposizionamento di vocali e consonanti che risponde al nome di anagramma (dal greco anà, a rovescio, e gràmma, lettera). Come si conviene ad un personaggio con la "p" maiuscola, è uomo fuori del tempo Lucio Dalla. Giusto quindi che le lettere della sua popolarissima ed orecchiabilissima "Attenti al lupo" possano riordinarsi in "L'età, un tal tipo?". "Bisogna saper perdere", invece, è anagramma che addirittura ce lo riporterà. Infatti, traducendosi in "Per Pesaro è grande bis", significa che il cantautore tornerà. Con "Ari-Vulon", anagramma di "Nuvolari", un occhio, occhio di Lucio s'intende, Dalla lo getta anche a Fano. O meglio a quel suo secolare pupo carnevalesco che si chiama Vulon. Abbiam detto la canzone ‘Nuvolari’, purtroppo, e non quell' ‘Attenti al lupo’ che stavolta ci avrebbe consentito la battuta d’effetto "Attenti al ... pupo". Tipo lucido Lucio. O meglio: "Lucido al la" (che è il suo anagramma). E sempre da maneggiare con cura. Un Dalla dalla provocazione facile, per capirci. Per niente aduso a dir dei "sì" di accondiscendenza. Lo riafferma "Frasi da dire? Solo no!", che è l'anagramma di quella sua caustica canzone intitolata "Anidride solforosa". Resta da ultima la bellissima "Ma come fanno i marinai", la cui “traslitterazione” è un "O cari, non amai femmina!". Ed è un anagramma che ci sta sommamente antipatico. Uno, perché non si fa i fatti suoi. Due, perché guarda con ambedue gli occhi dal buco della serratura. E con occhi che non sono certo quelli di Lucio.


Leone Pantaleoni

martedì 20 gennaio 2009

UN DELFINO DI NOME EDIPO

Sepolto sotto una pila di Settimane Enigmistiche che quasi lo sottrae alla vista dei passanti o di chi gli siede a gomito; sole, pioggia o neve, lui è sempre lì. A cavallo d'una seggiola, col bastone in mano quasi fosse uno scettro.
E se non avesse il fisico minuto che ha, lo paragoneresti al monumento equestre d'un parco, esposto, appunto, al capriccio di tutte le temperie. Sta seduto ad un tavolo del locale "Dolce e Caffè", proprio dove via Cavallotti bagna i piedi in via Battelli prima di tuffarsi a pesce nell'Adriatica. E a proposito di pesce, lui fa Delfino di cognome e Giuseppe di nome. Ma al legno ha sempre anteposto il metallo; e precisamente quello degli elettrodomestici che ha riparato con perizia per otto lustri. "Belli quegli anni" ci dice "quando le formose contadinotte mi pagavano in natura". Strabuzzo gli occhi ma lui subito precisa: "Cos'ha capito? Intendo con conigli, polli, pane e vino di produzione propria; nonché altre ruspanti e caserecce squisitezze che oggi te le sogni". E lo dice quasi con un sospiro, forse pensando che a quei tempi lui era lungi dall’aver collezionato gli odierni 76 giri intorno al sole. Davvero lontani i tempi del servizio militare, quando - pensate un po' - era esperto in esplosivi; mentre oggi non può nemmeno sentire i botti di capodanno. A volte all'opera c'è proprio un intero pool. Visto che a Giuseppe si aggregano i coetanei Sergio e Pino e la giovane Alessia che, alle cose arabe dell'enigmistica, ha unito quelle cinesi, con un viaggio fin laggiù per impararne la lingua. Con grande soddisfazione di Brunetta, un vero e proprio orario d'ufficio senza sbavature il suo: dalle 11,30 alle 13 del tardo mattino e dalle 18 alle 20 del tardo pomeriggio. Con vacanze non pagate, da godersi quando il simpatico "Gigi", Luigi Vasòli all’anagrafe, chiude il locale per ferie.
E senza mutua, ci mancherebbe. A proposito, di tempo per dilettarsi di enigmistica ne ha avuto Giuseppe; coi suoi dieci interventi chirurgici dieci subiti. Davvero un campionario da trattato di medicina, il suo: ernie discali, cervicali e lombari; ernia inguinale e calcoli al fegato; interventi all'occhio e al ginocchio; quest'ultimo con tanto di protesi multiple che lui chiama sportivamente "pezzi della Ferrari" facendo l'occhiolino a Montezemolo.
Ah, dimenticavamo, i suoi giochi preferiti sono "Una gita a ...", che è un cruciverba con foto- cartolina di volta in volta dedicato ad una località italiana, e i rebus. I rebus di "Leone da Cagli", tiene a precisare. Ma sulla sincerità di quest’ultima precisazione permetteteci di dubitare fortemente.
Leone Pantaleoni

QUEL CIELO DI FUOCO TRA ADRIATICO E ARDIZIO


No, non è un incendio scoppiato ad alta quota chissà come e chissà perché. E non è neanche un surrealistico paesaggio alla Chagall, con lava incandescente che scorre sospesa nel cielo. Dietro la casa di sinistra c'è il mare e dietro quella di destra il monte. Ovvero l'Ardizio, che non è un Vesuvio che erutta. E poi l'Ardizio è un colle, e se proprio va in collera, si sgretola un po' e invade di detriti la strada. Ma adesso è tempo di alzarlo al cielo lo sguardo; per ammirare quel fiume di fuoco, immarcescibile spettacolo d'un gennaio 2009 in avanzato stato di ... composizione.

Leone Pantaleoni

lunedì 19 gennaio 2009

DI PIETRO? PETIN D’ORINATOIO

Irriverente e scatologico l’anagramma con l’ex magistrato passato alla politica
Per stavolta non Antonio e Cleopatra ma Antonio e Carmen. Due nomi e un comun denominatore. Anzi, “decognominatore”: il cognome Di Pietro. Una coppia che non si scoppia, per capirci. Ah, a proposito di scoppia, fu proprio all’attrice che fece “boom” un seno e la notizia fece “straboom”. Davvero arcidirompente, allora, la signora Carmelina Tonto (così all’anagrafe di Potenza)!
Senonché, sarà puro caso, sarà magia, quel "arcidirompente" è proprio composto delle medesime lettere di Carmen Di Pietro. E’, come si dice in gergo enigmistico, un anagramma.
Volendo insistere, va detto che anche tra seno e Senato il passo è breve. Che c’è di male, dunque, se a questo punto vi proponiamo alcuni anagrammi di Antonio Di Pietro?
Visto il suo modo d’infervorarsi (ma è un eufemismo) nel voler distruggere gli avversari non meno di quanto non faccia contestualmente con sintassi e grammatica, diamo la precedenza a “Per i toni Dio Nato!”.
Ecco perché la opposta versione “’O i toni ponderati” non può che assumere valenza di ironico ossimoro.
Naturale che, condotto sull’altra sponda, l’anagramma gli si ritorca contro con “T’odiano per i toni”.
Invece, nelle due forme d’un identico dubbio “Idoneo in partito?” e “Do noie in partito?”, va senz’altro girato,quale assegno, al portatore Walter Veltroni.
Certo a sentir lui, incorruttibile giustiziere, novello Robin Hood della foresta di Trebisacce, fan presto gli anagrammi a diventar autoincensatori: “Ai potenti dirò no!”, “Io, non reo di patti”, “Io, nato intrepido”, “Io dirotto in pena”.
E, riferito allo scandaloso esubero di autoblù, “Noti? Torno a piedi!”. Al punto da farseli venir come quelli del padre dell’enigmistica Edipo (il nome vuol dire davvero “piedi gonfi”)? A piedi, capito? Nemmeno servendosi del suo amato trattore, intendiamo.
Da ultimo abbiamo lasciato la combinazione di lettere più pesante ancorché volatile; prosaica, spoetizzante e scatologica. Irriverente e mendace, s’intende, ma pur sempre anagramma. Si tratta, insomma, di “Petin d’orinatoio”.
Con buona pace dell’imperatore “Antonino Pio”, ma anche Tito Flavio Vespasiano.
Leone Pantaleoni

mercoledì 14 gennaio 2009

IL SENATORE A VITA. MA ETERNA.

Auguri per i suoi primi 90 anni ad Andreotti, da sempre uomo-enigma ma, per chi non sapesse, anche enigmista
Uomo-enigma da sempre, Giulio Andreotti. Ma anche enigmista. Infatti, se molti sanno che oggi, mercoledì 14 gennaio 2009, egli vìola la imbaccuccata vetta dei novant' anni, ancor di più sono coloro che ignorano come al pari di Umberto Eco, Roberto Benigni e Paolo Conte, sia anche lui da inserire tra quei "big" che con mai doma passione coltivano da sempre la cosiddetta arte edipica. Ecco perché in tale e tanta occasione anche l'enigmista recrimina un suo componimento genetliaco.

Si sa che con cruciverba e rebus, uno dei giochi più praticati è l'anagramma, che, per chi non ricordasse, consiste nel riposizionare le lettere che compongono frasi o parole per formarne altre. Si noti, a mo' d'esempio, che se proprio tutte sono le strade, davvero tanti sono gli anagrammi che portano a quella Roma che è città natale del festeggiato. Ed esattamente sette, quanto i suoi colli: ramo, orma, mora, amor, Omar, armo e marò.

Ed è proprio una serie di anagrammi del suo nome che vorremmo adesso far indossare a Giulio Andreotti per il suo compleanno. Il più attillato ci sembra
"E' di largo intuito"
che non lascia dubbi sulla lungimiranza di un senatore a vita, sì, ma eterna. Necessita almeno di distinguo, invece,
"Il dottor nei guai"
Infatti, vista la perdurante salute del personaggio, che ad essere in ambasce sia il suo medico curante, perché inutilizzato? A, proposito, che ne dite dell'amletico
"Inutile o gradito?"
Basta togliere il punto interrogativo a
"L'indiretto guaio?”
per trasformarlo da inquietante in assolutorio. Da consegnare come una pioggia di statuette dell’ Academy Award a Paolo Sorrentino per la miglior regia, gli anagrammi:
"Un dito ... è artiglio"
"Elogi a un dritto"
"Uditelo o intriga"
"L'intrigo è d'aiuto"
"Aiutò gli enti d'or"
"Dio, lui nega torti!"
"Un titolo in regia"
"Noti il guidator"
Dopo un crescendo di vicissitudini legate ad un processo pesantissimo, lieve come un fiabesco lieto fine è l'anagramma
"Delitto? Giuria: no!"
Ormai giunto alle soglie della immortalità, davvero un attore Giulio Andreotti. Anzi, prim’attore. Ma dell’Olimpo e non del cinema, perché al cinema basta e avanza un Servillo. Sempre gioiosamente ironico, anche con se stesso. E mai capriccioso. Ecco perché non è forse un caso che le lettere di "Divo Giulio" si anagrammino in "Dio giulivo".
LEONE PANTALEONI

QUEI CALZONI IN PUNTA DI CHIAPPE

Li chiamano neo cafoni ma il Bruno Vespa dai tanti nei e dei troppi libri non c'entra.

A proposito di libri, non c'azzecca nemmeno il Roberto D'Agostino dello “stradagospiato" Cafonal.

Portano i calzoni in punta di chiappe, i neo cafoni. A vita bassa, insomma; a mostrare non di rado un ombelico sepolto tra rotoli di ciccia e non del Mar Morto. Sempre, comunque, a simboleggiare che la quota massima raggiungibile dal loro volo è quella radente.

Ed è curioso come il loro presente si esprima con verbi al passato, quali i participi "leopardato" e "mansardato". In ossequio al principio di conservazione della massa del genio della chimica Lavoisier, vivono in un mondo dove nulla si crea e tutto si trasforma: chiese che sembrano navi, ma quella di Novilara stavolta non c'entra; negozi che paiono ambulatori, e scuole che somigliano a sotterranei di grattacieli. Diceva con la sua lungimirante ed affilata ironia Leo Longanesi: "Una società, la nostra, in cui ogni cosa assomiglia a un'altra diversa". E lo diceva negli anni '50. Quando il pulcino Calimero rompeva il guscio e a leggere le notizie del telegiornale era un uomo dalla voce bellissima e dalle orecchie grandissime. Era una televisione di frontiera, d’accordo, senza colore, ma non incolore. Bisognevole di tutto perché per niente fornita delle attuali innovazioni tecnologiche. Ma anche una televisione che alle Simone Ventura e alle Marie De Filippi non avrebbe neanche fatto reggere il cavo d’una telecamera spenta. E' in spregio (o sfregio, fate voi) a Lavoisier che tutto invece si distrugge. Prescindendo dalla plastica ed a cominciare dalla lingua italiana. Non han bisogno di gommoni e né della biforcuta complicità di Gheddafi le parole di matrice anglosassone per invaderci: dalle brevi "red", "web", "loft", "cool" e "bruch", a "welfare", "privacy", fino a "fitness", "sneakers", "competition", "governance" ed "enforcement". Per non parlare poi di quelle afferenti cibi esotici, quali sushi, sashimi, couscous, paella e falafel. E non è che uno sparuto campionario.

L'arguto scrittore e saggista Alberto Arbasino ha appena pubblicato per Adelphi "La vita bassa". Concludendo con rassegnata ironia che questa è la modernità, bellezza. Ma dove bellezza, più che farci rima, si traduce con bassezza.



Leone Pantaleoni

domenica 11 gennaio 2009

(clicca sull'articolo per ingrandire)

giovedì 8 gennaio 2009

SE PASSAPAROLA FA RIMA CON SCUOLA

Con “Leone da Cagli” anche la vita tra i banchi può essere tutta un quiz

Si fa presto a dire quiz. Bastano quattro lettere dell'alfabeto. O meglio, basta la parola. Anzi, Passaparola. Ricordate la ruota di Passaparola? Quella del campione Ferdinando Sallustio? Quella dove Jerry Scotti mostrava una sorta di quadrante d'orologio dove al posto delle ore c'eran le iniziali delle risposte?

Beh, fatti salvi gli svarioni più coloriti dei soliti noti che a domanda rispondono:
Luisa Corna: "Cadde dal cielo "-"Mosè" (invece di "manna");
Walter Nudo: "Chi dipinse la Primavera?"-"Bocelli" ("Botticelli"); Michelle Hunzicker: "Compariva sui biglietti da 500 mila lire"-"Rodolfo Valentino" ("Raffaello");
Ambra Angiolini: "Famoso quello di Modena"- "Zorro" ("zampone"); Flavia Vento: "E' impossibile quella del cerchio"-"curvatura" ("quadratura").
E infine Alessia Merz che chiama "vibratori" invece di “vibrisse” i baffi del gatto e, a seguire, Adriana Volpe e Camilla Raznovich che equivocano, rispettivamente, l'ulna con l'urna e il neon col gas nervino, beh, fatto salvo un tal cumulo di vip-bestialità da “Very Ignorant Person”, c'è da dire che partecipando da casa, delle moltissime cose che non sappiamo, non poche se ne apprendono ed alcune ci restano addirittura impresse nella memoria.

E si sa che quando imparare fa rima con giocare, apprendimento fa rima con divertimento. Non per nulla lo slogan degli slogan era "Allegria!" che pure, per gl' immancabili nemici del quiz, può riposizionare le sue lettere (anagramma) in "Allergia".

A noi è capitato d'includere il gioco nelle ultime lezioni dei recenti corsi di enigmistica tenuti a circa 500 alunni di scuole elementari della nostra città. E ne è emersa una nota degna di citazione. Pensate un po’ che alla domanda: "Cos'hanno in comune "Paperino" e "Paperone"? un bambino ci ha risposto con un sorprendente: "7 lettere su 8". Davvero un'arguta replica, non c'è che dire. In Paperino e Paperone sono infatti contenuti ben due giochi enigmistici in sequenza; anagramma e cambio di vocale. Prima bisogna passare da Paperino a Paperoni e quindi da Paperoni a Paperone. Convenite con noi, allora, che ben più facile sarebbe stato dire "becco", dando così la risposta giusta?
Leone Pantaleoni

SE IL CATASTROFISMO E’ UNA QUESTIONE DI ACCENTI

Quando serra sta per s’erra e primavera per prima v’era

Roba da far accapponare la pelle. Anzi, congelarla. Parliamo del freddo di questi giorni, manco fosse gennaio. Alla faccia del surriscaldamento del pianeta, dello scioglimento dei ghiacci e del cosiddetto effetto serra.
Ah, a proposito, è ormai appurato che si debba leggere “s’erra”, nel senso di “si sbaglia”. Sottinteso il pronostico. Capita infatti a certi sedicenti scienziati di non azzeccarne una ch’è una; un po’ come ai coloriti declamatori di pronostici di nome Fox o Branko, oppure come ai Giuliacci e ai Caroselli che ci propinano previsioni meteorologiche puntualmente ed immancabilmente sbagliate. Di bello c’è che di tanti, tantissimi luoghi comuni, almeno uno, “Non si sa più come vestirsi”, può venir depennato. E’ certo infatti che si debbano indossare abiti pesanti. I più pesanti, dalla testa ai pedi.

Per non parlare poi dell’influenza. Asiatica o australiana che sia, ogni volta sembra la peste bubbonica di manzoniana memoria.

A questo punto, dopo la siccità estiva da deserto del Sonora, le alluvioni autunnali da Polesine e le gelate invernali infernali, perché da luogo di dannazione dantesca, parlare di catastrofismo è davvero poca cosa. E a noi, sia detto una volta per tutte, fa un po’ sorridere anche quello dei nostri telegiornali, dove fiocchi di neve vengono paragonati a meteoriti assassini e il collaudato ed elementare consiglio agli automobilisti di munirsi di catene vien dato come se fossero il paracadute d’un aviatore che sta precipitando.

Non ci resta, allora, che attendere la stagione che verrà. Ma – ahinoi! – essendo anche una mezza stagione, in quanto tale, non c’è più. Come per serra-s’erra, anche stavolta è una questione di accento. Perché? Ma perché se davvero la primavera è una mezza stagione che non c’è più, essa sta per … prima v’era.
Leone Pantaleoni

mercoledì 7 gennaio 2009

ANACALCIATORI

D'accordo, Beppe Sculli è un ottimo attaccante ma, di grazia, dove s'attaccherebbe il tapino se qualcuno lo obbligasse a pettinare Luciano Spalletti? L'avete presente il grado di lucidità del cranio del coach romanista? A guardar quella palla da biliardo è roba da doversi prima inforcarsi gli occhiali da sole a protezione della retina!

Beh, a osare tanto, chiedendo l'impossibile, è quel gioco enigmistico dove, riposizionando lettere che compongono parole o frasi, se ne ottengono altre. Di senso compiuto, s'intende. L'anagramma di "Luciano Spalletti" è infatti "A Sculli: - Pettinalo! -". E ho detto tutto, puntualizzerebbe il Peppino De Filippo della famosa lettera scritta sotto dettatura di Totò.

Non va meglio per Aldo Biscardi, al quale il gioco edipico riserva la eloquente esclamazione: "Dio, sa dir l'ABC!". E anche stavolta, s’è detto proprio tutto.

Per la leggenda vivente Alex Del Piero l'anagramma torna a quel fatidico 9 novembre 1974, per indossare le sontuose vesti d’un adorante Re Magio che, dinnanzi al Bambinello di Conegliano appena nato, declama: "Sarà l'eroe splendido!".

Con "Ebben, mastico assai!", l'asso interista "Esteban Cambiasso" ha un inquietante sdoppiamento di personalità ed assume le sembianze di Delio Rossi. Avete presente? L'allenatore della Lazio, quello che, a memoria di cameramen, non s’ è mai visto inquadrato a mascelle ferme. Un folle masticatore di chewing-gum da far sembrare un trangugiare il ruminare d'un bue!

Lo spettro di una doppia identità s'intravede anche per Tommaso Rocchi ("Ma, chic o mostro?").

Non ci va leggero l'anagramma con Gianluigi Buffon ("Lui? Buffonaggini!").

A un cinico Antonio Di Natale ("A' ideali? Non tanto!") accoppia un Douglas Maicon in versione Divin Marchese ("Un gol, ma sadico!").

Collodiano con un Daniele De Rossi simil Lucignolo ("Il sedere d'asino") è goldoniano con Andrea Dossena ("E' ressa da donna"), che pure è nato a Lodi e non a Chioggia.

Rischia la querela con Marco di Vaio ("Avido marcio") e diventa abissalmente denigratorio con Antonio Cassano ("Conta assai? no, no!"); dove, non bastasse, reitera la negazione.

ALBERTO GILARDINO
"Al tiro gran bolide!”

Torna invece a risalire le vette dell'encomio con Alberto Gilardino e Diego Milito nelle rispettive doppie versioni: "Al tiro gran bolide!" e "N.B.: il goleador tira!", e "Godi, è il mito!" e "Dio, mieti gol!".

Di Luca Toni l'anagramma ci svela che è "Lunatico" ma anche una seconda cosa di stretto sapore onanistico; impossibile a proporsi, si trattasse della fascia oraria meno protetta.

Bertianamente candidato al male oscuro con Francesco Totti ("Sconfitta? Certo!"), s’affaccia dal Ponte dei Sospiri con Rodrigo Taddei ("Grido tre addio").

Ad un irridente Paolo Maldini alla vigilia del derby (“Polli, a domani!”) fa eco un Andrea Pirlo evangelicamente accomodante (“Perdona l’ira”).

Una sorta d’ironico commento è l’anagramma sull’ondivago Mario Balottelli (“Ormai il balletto”).

Poteva alfine mancare il Rambo del nostro campionato? Quell'indistruttibile e devastante Zlatan Ibrahimovic che tremare il mondo fa? In edizione Silvester Stallone, e cioè di eterno fuggitivo, il suo anagramma si traduce in "Chi balzò via in tram". Figurarsi, un mezzo pubblico lui, che, con il talento dei pochissimi che ha, potrebbe pagarsi tutte le auto blu messe a disposizione dei troppi.

LEONE PANTALEONI


martedì 6 gennaio 2009

RE MAGI: IN FUGA UNO DEI TRE

Elucubrando, un po’ sì e un po’ no, sui tre sapienti che venivano da oriente
Anagraficamente premesso che se i magi fossero state donne soltanto il nome di Gaspare avrebbe trovato declinazione al femminile (vedi la famosa poetessa Gaspara Stampa), c’è da scommetterci che come tre fatine disneyane si sarebbero date da fare per rassettare la stalla, sistemare la mangiatoia e, insomma, si sarebbero rese meritevolmente autrici di tutte quante quelle operazioni domestiche atte a rendere quanto più confortevole possibile la capanna. Soltanto che, sulla via del ritorno, voltate le spalle alla Sacra Famiglia, non sarebbero riuscite a frenare la propria lingua, astenendosi dal dire: “Un viso materno dolcissimo, ma avete visto com’era conciata Maria? Quel Giuseppe, buono e caro, per carità, ma non gli cavi di bocca una parola manco a strappargliela con le tenaglie!”. Il singolare “magio” viene dal greco “magoi” attraverso “mago”. E sta per “appartenente alla casta sacerdotale”.

I magi, dunque. Astronomi e astrologi perché allora le due cose erano un tutt’uno. Il magio Melchiorre, che significa “il mio re è luce”; il magio Baldassarre, che sta per “Dio protegge la sua vita” e il magio Gaspare, che vuol dire “splendente”. I sapienti re che provengono da oriente a rappresentare una moltitudine umana composta di persiani, indiani ed arabi. Uno portante “oro”, che oltre ad essere simbolo dei re, è termine palindromo (si legge in egual modo in ambo i sensi) e monovocalico (è composto dalla sola “o”). Un altro portante incenso, che oltre a essere simulacro di Dio, si anagramma (parole formate dalle medesime lettere riposizionate) in “insceno” e “innesco”. E il terzo portante mirra, emblema dell’uomo. A proposito, sapete perché costui era sempre il primo della fila e gli altri due dovevano annaspare per stargli dietro? Semplice, perché il suo cammello andava a tutta … mirra!

LEONE PANTALEONI

ICI ED EQUIVOCI

Ha dovuto sudare le proverbiali sette “came”, pardon, cam(ici)e, Silvio Berlusconi nello spiegare che nel proferire la frase: “Non vado in b come Prodi” non voleva offendere il suo predecessore, retrocedendolo alla stregua di politico di seconda serie. Ed altre sette “came”, pardon cam(ici)e, ha intriso d’umor secreto per giurare e spergiurare che nemmeno intendeva sviolinarlo – anzi! - allorché ha aggiunto che i discorsi dell’esimio professore sono prosa.

Essendo che Berlusconi ha tolto l’ICI, e che lui è uno che le promesse le mantiene, voleva piuttosto significare un innocuo: “Non vado in b(ici) come Prodi”, nell’un caso, e un lesivo “I discorsi di Prodi sono prosa(ici)”, nell’altro. Dove prosaico, si sa, può anche sottintendere meschino, banale e volgare.


Ma per la identica e spudorata ragione, ben più è costato al cavaliere, il dover alfine convincere Bossi che nel pronunciare la frase “nord e sud”, non intendeva affatto dire “nord(ici) e sud(ici)”.
Leone Pantaleoni

QUEGLI STRANI PRETI IN TV CHE NON SEMBRANO TALI

Non si può prescindere dall’immanente, d’accordo, ma men che meno dal trascendente

Operai, o meglio, operatori ecologici, ecco come li chiameremmo con il dovuto rispetto. Ma chi? I sacerdoti regolarmente ospitati in TV. Tutta gente brava, bravissima, per carità, ma dalla quale non traspare nulla del carattere trascendente di "stirpe prescelta", di "sacerdozio regale" e di "nazione santa", emanazioni di un Cristo agente in mezzo a noi. Dove parole come Padre, Figlio e Spirito Santo, che pure caratterizzano un segno fatto ogni giorno miliardi di volte in tutto il mondo, non compaiono mai. Dove il nome di Gesù fa sistematicamente rima con tabù e dove per ascoltare il termine "sacramento" bisogna caso mai attendere l'assai improbabile caso che, declinato all'infinito (sacramentare), sia sinonimo d'imprecare, e, peggio ancora, bestemmiare.

Sacerdoti di tal fatta li senti meritevolmente parlare d'impegno nel sociale, di cose fatte e da fare; di problemi pratici, materiali e contingenti, insomma; ma se li vedi per la prima volta a trasmissione già cominciata, nel loro effluvio di parole non cogli una vocale ch'è una che ne faccia capire l’appartenenza al “popolo eletto”.

Nel suo bellissimo libro "Pecore e pastori" fresco di stampa, il cardinal Biffi ricorda come oggi più che mai la carità pastorale corra il pericolo di essere svuotata del suo significato; da che cosa? Ma dal cosiddetto funzionalismo. E non è raro constatare come alcuni sacerdoti siano vittime dell'influsso di una mentalità che tende a mutilare il loro ministero ai suoi soli aspetti funzionali. "Fare il prete”, svolgere singoli servizi e garantire alcune prestazioni d'opera, sarebbe allora tutta quanta l'essenza sacerdotale. Tale concezione, riduttiva della propria identità, rischia di spingere la vita di costoro verso un vero e proprio baratro che essi s’illudono di riempire - ma è proprio come pretender di raccogliere con un secchiello tutta l’acqua del mare - ricorrendo a forme di vita non consone al proprio servizio pastorale.

In una delle ultime trasmissioni a cui abbiamo assistito, uno di loro, dirottando bruscamente dal contesto e neanche interrogato in merito, ha tenuto a precisare che lui non ha votato Berlusconi. A noi non ce ne importa un fico secco. E neanche se si fosse invece trattato di Veltroni.

Piuttosto, che ne pensa, il sacerdote, del fico che un Gesù alla vana ricerca di cibo, ha seccato appena fuori Betania?

Leone Pantaleoni




DALLO SCRITTORE COI PAPI A LEONE

C’è un commento autorevole anzichenò al pezzo di Leone sui sacerdoti in TV. E’ nientemeno che di Vittorio Messori.

Scrittore cattolico il più noto a livello internazionale, egli è autore di bestseller tradotti in tutto il mondo. Il suo celebre “Ipotesi su Gesù” ha venduto un milione e mezzo di copie soltanto in Italia. Inoltre Messori ha scritto con papa Karol Wojtila “Varcare la soglia della Speranza”; e con l’allora cardinale Joseph Ratzinger “Rapporto sulla fede”.

PRETI DA TELESCHERMO
Caro Pantaleoni, d'accordo con Lei su questi preti da teleschermo. Sono convinti che più sono " come gli altri " più sono accettati. Naturalmente è il contrario: è di gente " diversa " che sentiamo il bisogno. Non a caso, gli operai della Fiat furono affezionati ai cappellani , quelli in tonaca , che facevano i sacerdoti ma non legarono con i preti-operai, in tuta, più demagoghi dei comunisti, dicendo che di sindacalisti ne avevano già molti e non sentivano il bisogno di scapoli che venivano a rubare un posto di lavoro ai padri di famiglia.... Buon 2009 e non dimentichi che, per parafrasare la Pasionaria, " no pasaràn "....

Vittorio Messori

sabato 3 gennaio 2009

LA SCOPA DELLA BEFANA

Provate a cavalcare una scopa volante e fatevi inavvertitamente cadere di mano qualcosa. Mettetevi il cuore in pace: non la recupererete più. E', in pratica, quanto accaduto alla Befana, così chiamata perché, da Beffanìa che era, versione volgare di Epifanìa, ha perso nel tempo una delle due effe e la i.

Epifanìa, a sua volta, dal greco epiphàneia, attraverso il latino epiphaniam, significa apparizione, manifestazione (sottinteso, del Figlio di Dio).

Narra una leggenda che i magi, nel chiedere informazioni sulla via da intraprendere per trovare Gesù, s'imbatterono anche in una vecchia; la quale, seppur ripetutamente invitata ad unirsi a loro, si rifiutò di farlo. Ma in seguito ebbe a pentirsene; al punto che, munitasi di un cesto di dolci, si mise alla indefessa ricerca del Bambinello. Classica pena da contrappasso dantesco, a quanto pare; che ciascun 5 gennaio la vede imbrattarsi di fuliggine nell’infilarsi in tutti quanti i camini del mondo; onde regalare dolcetti ai bambini, nella mai esaudita speranza che uno di essi sia, finalmente, il figlio di Maria e di Giuseppe.

Secondo versioni attinenti alla realtà, invece, la ricorrenza della Befana deriverebbe da elementi folclorici pre-cristiani, radicati nella tradizione agraria e collegati alla sempre catartica azione del fuoco. Cosicché la Vecchia altro non sarebbe se non l'anno appena trascorso; da bruciare, per rinascere.

C'è addirittura chi collega la Befana con una festa pagana in onore del dio Giano e della dea Strenia (da cui il termine "strenna"), una festa detta Sigillaria perché prevedeva uno scambio di statuette d’argilla.


Se la Befana fosse uno Stato, non v'è dubbio che la sua capitale sarebbe Urbania. O Casteldurante, se preferite, in onore dei sempre risplendenti fasti montefeltreschi.

C’è un gioco enigmistico che si chiama Falso Diminutivo. Come nei casi di botto-bottino e matto-mattino, per intenderci. Uno di essi recita:

La Befana è brutta assai,
molto xxxxxx non sbaglia mai;
sulla scopa di xxxxxxx,
vola come littorina.

Se non l'aveste risolto, pensate semplicemente che se la Befana è "saggia", l’arnese che cavalca è di … .

LEONE PANTALEONI

UN OROSCOPO SOTTO IL SEGNO DI EDIPO

Davvero inedite le previsioni per l’anno nuovo se fatte in chiave di anagramma

Gennaio, tempo d'oroscopi.
A proposito, se la mogliettina si lagna col dire che il maritino è un poco orso; se la massaia impreca perché il dispettoso sorcetto ha morsicchiato la mezza forma di cacio nella dispensa (il formaggio è poco roso); se sul tram, dopo aver mollato un ceffone all'energumeno che le ha fatto la manomorta, la ragazza urla "Porco, oso!" ; se l'attricetta emula di Moana Pozzi esclama spavalda: "Corpo? Oso!"; se un costipato Costantino Vitaliano precisa: "Roco poso"; se lo slogan esplicativo del fine del cercatore del Klondike è "Scopo? Oro!", c'è da star certi che quel consultatissimo complesso di previsioni composto di dodici segni astrologici avvalorerà tutte quante le cose.
Se non altro perché "poco orso", "poco roso", "porco oso", "corpo oso", "roco poso" e "scopo oro" sono le medesime lettere di "Oroscopo" cambiate di posto.


Ma vediamola allora, segno per segno, alla luce dell' anagramma questa parola, tanto variegata nelle sue logorroiche orazioni dei Branko, dei Fox, delle Alberti e compagnia ... stella, quanto monocorde nelle sue vocali (la sola "o", anche se quattro volte):
"Ariete (21/3-19/4)-teiera" all’insegna dei nervi distesi;
"Toro (20/4-20/5)-orto" dedicato a coloro che possono avvalersi d'un fazzolettino di terra.
"Gemelli (21/5-21/6)-elle/mig" ai collezionisti di modellini d'aereo e
"Cancro (22/6-22/7)-cornac" ai cavalcatori d'elefante indiano.
Non vi è dubbio che "Leone (23/7-22/8)-Eleno" sia per cultori di mitologia e "Vergine (23/8-22/9)-Vergein" per conoscitori palmo a palmo del Tirolo.
"Bilancia (23/9-23/10)-Cina/Bali" spetta agli orientalisti e "Scorpione (24/10-22/11)-proscenio" agli esibizionisti.
E, ancora, "Sagittario (23/11-21/12)-Gita a Trois" va ai frequentatori della Martinica e "Capricorno (22/12-19/1)-porco/carni" ai macellai, meglio se di Norcia.
"Acquario (20/1-18/2) -qui acari" è il segno dei barboni e "Pesci (19/2-20/3)-cespi" dei coltivatori di odorosi gelsomini.

A proposito, lo scrittore senigalliese Alfredo Panzini ci ha narrato di un certo Gelsomino, detto il buffone del re. Quale re? Ma re Oroscopo, naturalmente.

LEONE PANTALEONI

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01) Crittografia (frase: 7 6)
B S

02) Crittografia (frase: 7 7)
DB HPO

03) Crittografia (frase: 4 2 4)
NOME DELL'AT.ORE BANFI

04) Crittografia (frase: 4 10)
- CATINO -

05) Crittografia (frase: 7 2 5)
- QUI.T. LETTERA .. UN ALFABETO -

06) Crittografia (frase: 5 2 4)
- CH.SSA' -

07) Crittografia (frase: 8 7)
- VR VR VR VR TO -

08) Crittografia (frase: 3 4 4)
- TELEFONATEMI! -

09) Crittografia: (frase: 6 1 2 1 4 2 = 2 4 1 3 6)
D... DI NASCITA

10) Crittografia: (frase: 4 4 2 2 2 = 6 8)
IN QUEL PO.TO

11) Crittografia (frase: 8 2)
SONO RIMASTO LI’

INVITO AI CAGLIESI

INVIATEMI UN COMMENTO COL VOSTRO NOME, VI FARO' L'ANAGRAMMA.

GLI ANAGRAMMI DEI CAGLIESI

chi sono questi ?

(nome: 9, 8) = "PANCETTA CON SFREGI" Piercing mal eseguito?

(nome: 7, 7) = "RE FRA LE DOMANDE" Novello Mike Buongiorno?

(nome: 5, 7) = "CARDAR ALBERI"
Ma non era la lana?

per le soluzioni...