Che senso ha parlare di democrazia e dittatura quando si è di fronte alla rivelazione?
Ecco l'interrogativo che si para dinnanzi a chi intendesse oggi coniugare le tre cose insieme. Il Cristo che chiede ai discepoli: "E voi, chi dite che io sia?" non subordina la veridicità della risposta all'essere creduto almeno da sette di loro perché sette è la maggioranza di dodici.
E ancora, a dar valenza di autenticità ad affermazioni quali: "Io sono la via, la verità e la vita" o "Chi vede me, vede il Padre" non è rinviarle al subordine d’essere accolte da una maggioranza di ascoltatori. Su cento persone possono essere novantanove coloro che le rifiutano ma non è per questo che esse perderebbero un granello della loro intrinseca verità.
Egualmente senza senso è ritenere che una rivelazione, in quanto tale, sia un'imposizione; essa è e basta. Se si dice a Tizio: "Dentro quella dispensa c'è una mela" non si condiziona la veridicità dell’affermazione al suo credervi o no e nemmeno lo si pone di fronte ad un diktat che, come tale, egli si vede costretto ad accettare contro la sua libera volontà. Il fatto è semplicemente se si afferma il vero nel dire ciò che si dice. Il credente che agisce affinché si affermi una politica in sintonia con ciò che gli è stato rivelato, non è il paladino di una teocrazia intesa come dittatura sulle coscienze ma è colui che opera in coerenza perché ciò in cui crede fiorisca e non si risolva in pratiche che appassiscono nella dimensione del privato.
Ecco l'interrogativo che si para dinnanzi a chi intendesse oggi coniugare le tre cose insieme. Il Cristo che chiede ai discepoli: "E voi, chi dite che io sia?" non subordina la veridicità della risposta all'essere creduto almeno da sette di loro perché sette è la maggioranza di dodici.
E ancora, a dar valenza di autenticità ad affermazioni quali: "Io sono la via, la verità e la vita" o "Chi vede me, vede il Padre" non è rinviarle al subordine d’essere accolte da una maggioranza di ascoltatori. Su cento persone possono essere novantanove coloro che le rifiutano ma non è per questo che esse perderebbero un granello della loro intrinseca verità.
Egualmente senza senso è ritenere che una rivelazione, in quanto tale, sia un'imposizione; essa è e basta. Se si dice a Tizio: "Dentro quella dispensa c'è una mela" non si condiziona la veridicità dell’affermazione al suo credervi o no e nemmeno lo si pone di fronte ad un diktat che, come tale, egli si vede costretto ad accettare contro la sua libera volontà. Il fatto è semplicemente se si afferma il vero nel dire ciò che si dice. Il credente che agisce affinché si affermi una politica in sintonia con ciò che gli è stato rivelato, non è il paladino di una teocrazia intesa come dittatura sulle coscienze ma è colui che opera in coerenza perché ciò in cui crede fiorisca e non si risolva in pratiche che appassiscono nella dimensione del privato.
Essere laici significa allora riconoscere al credente ciò che il laicismo gli nega invece con protervia, ovvero il sacro diritto (mai aggettivo fu più appropriato) di battersi per ciò in cui crede perché frutto di una rivelazione e non d'una più o meno condivisibile visione del mondo.
Tale rivelazione porta una firma autorevole. Anzi, più che una firma, una croce. La croce del Calvario.
Tale rivelazione porta una firma autorevole. Anzi, più che una firma, una croce. La croce del Calvario.
Leone Pantaleoni