Questi gli anagrammi:
UMBERTO ECO
Becero muto
VINCENZO MONTI
Ti vince Monzon
MARSILIO FICINO
Firmo siciliano
ALDO PALAZZESCHI
Padella a schizzo
ANGELO RUZZANTE
Luna rozza
IPPOLITO PINDEMONTE
In molti dite poppe, no?
IACOPONE DA TODI
Poeta coi dadi? No!
EDMONDO DE AMICIS
Se domando mi dice
GABRIELE D’ANNUNZIO
Là Benigni è zar nudo!
Sol egli va in Canada
ANDREA CAMILLERI
Ridà caramelline
GIOSUE’ CARDUCCI
Uccidi Gesù, caro!
CARLO COLLODI
Rido col callo
CESARE BECCARIA
Becera? Ci è sacra!
DANTE ALIGHIERI
E ti dan regali? Hi!
PIER PAOLO PASOLINI
Il Pierino spopola a...
UGO FOSCOLO
Fosco luogo
TORQUATO TASSO
Quatto, assorto
ALESSANDRO MANZONI
Non so danzare mal, sì?
ELSA MORANTE
Nero sta male
GIOVANNI VERGA
Ginger? Va a vino!
TOMASI DI LAMPEDUSA
Due salami di stampo
GIOVANNI PASCOLI
Covi spina in gola
CARLO EMILIO GADDA
Di già cedo all’amor
BEPPE FENOGLIO
Piego L.P.? Ben fo!
CESARE PAVESE
Se pesa verace
GIUSEPPE UNGARETTI
Pure Gesù piangetti
GESUALDO BUFALINO
Fagli un bue da solo
LUIGI PULCI
Lui? Più CGIL!
E, naturalmente, la febbre del fu subito sera
FEBBRE DI LETTERATURA A 40 … GRANDI
Se c'è qualche infame che osa definire triviale la prosa di colui che ha scritto ‘Dei delitti e delle pene’, ci pensa l'enigmista a sbatterlo dietro le sbarre. Riposizionando le lettere di "Cesare Beccaria" si ottiene infatti "Becera? Ci è sacra!". Ma le cose non vanno sempre per il verso giusto. Nel caso di "Italo Calvino", per esempio, l'anagramma tira dritto ("Taci, o villano!") e con il "Giosué Carducci" conclamato anticlericale, mette il dito nella piaga ("Uccidi Gesù, caro!"). Sale sul pulpito con "Italo Svevo" ("Sol ovvietà") ma entra in confessionale con "Ignazio Silone" ("Insegnai l’ozio"). Bisogna letteralmente cavargli le parole di bocca a "Edmondo De Amicis" ("Se domando mi dice") ma sta peggio un inaspettatamente omertoso "Umberto Eco" ("Becero muto"). E se tra asfissianti volute di fumo "Andrea Camilleri" "Ridà caramelline" non c'è di che stupirsi. Il papà di Montalbano aveva soltanto provato, ma invano, di consegnare allo stomaco ciò che aveva finalmente sottratto ai polmoni, barattando catrame con zucchero. Ma si sa che non c’è cosa più facile a reiterarsi del cessar di fumare: - Io ho smesso più di mille volte! – affermava da par suo Mark Twain. Restando in tema di vizi, c'è anche quello del gioco. Ad esempio quei cubetti lanciati anche sotto la croce di Cristo per accaparrarsene la veste inconsutile. Ma non se ne cala l’incorruttibile "Iacopone da Todi" ("Poeta coi dadi? No!”) tutto preso dal pianto della Madonna. Non s’illuda il ‘rosso’ Robertaccio della Vita è Bella di poter raccogliere in terra di "Gabriele D'Annunzio" quanto fatto col Divino Poeta ("Là Benigni è zar nudo!"). A proposito di “Dante Alighieri”, con lui l'anagramma osa farsi malevolo tra l'irrisorio e l'insinuante ("E ti dan regali? Hi!"). Mentre, nel ridurre ad un Vanzina qualunque "Pier Paolo Pasolini" ("Il Pierino spopola a...") ne trova una inedita consonanza con "Carlo Cattaneo" ("Ora l'accattone"). Non se ne avrà Gioacchino Rossini se "Lodarlo Cigno" è l'anagramma di "Carlo Goldoni" e non è un caso che "Ugo Foscolo" si trasformi in "Fosco luogo". Il riferimento ai sepolcri è lampante come una resurrezione. Autentica gatta morta "Torquato Tasso" ("Quatto, assorto") e tutt'altra cosa il "Dario Fo" colto da raptus d’onnipotenza in suo lungo monologo in grammelot ("Farò Dio!"). Si scende in pista da ballo con "Umberto Saba" ("Sabato rumbe!") e "Alessandro Manzoni" ("Non so danzare mal, sì?") e magari, con "Carlo Collodi", pseudonimo di Carlo Lorenzini, ci scappa pure il malaugurato pestone tra l'ilarità dei presenti ("Rido col callo"). Discetta di moda "Elsa Morante" ("Nero sta male") e sempre in tema estetico lancia strali contro la debordante chirurgia dei seni rifatti ‘Polidete Melpomenio’, pardon, "Ippolito Pindemonte" ("In molti dite poppe, no?"). Tra gli aranci della splendida Trinacria l’anagramma s’impregna di verismo con "Giovanni Verga" ("Ginger? Va a vino!") e "Tomasi di Lampedusa" ("Due salami di stampo") e davvero può comprendersi perchè "Marsilio Ficino", toscano di Figline Valdarno, affermi: "Firmo siciliano".
Di "Giovanni Pascoli" ("Covi spina in gola") ci rimanda al suo eterno cruccio di tragicamente orfano. Si eleva dolcestilnovisticamente con "Alberto Moravia" ("Amore vibra alto") e “Carlo Emilio Gadda” (“Di già cedo all’amor”) e torna giù in picchiata rovinosa con un "Aldo Palazzeschi" dedito al bricolage ("Padella a schizzo”). Mania bislacca che fa rima con ceralacca quella di "Beppe Fenoglio" ("Piego L.P.? Ben fo!”). Salito sul ring con "Ti vince Monzon" uguale a "Vincenzo Monti", l'anagramma va rovinosamente a tappeto per devastante uppercut anacronistico. Quando il grande pugile argentino batté Nino Benvenuti quasi camminando, correva il 7 novembre 1970. Anno in cui il poeta e drammaturgo romagnolo, se soltanto si fosse chiamato Matusalemme, avrebbe spento la sua centoquarantaduesima candelina! "Giovanni della Casa", anagramma "Sol egli va in Canada", è invece coevo della scoperta di quella lontana terra. Egli aveva 31 anni quando Jacques Cartier vi approdò nel 1534. Ma, salottiero come era, almeno quanto i dettami del suo celebre galateo, ci risulta che non si sia avventurato al di là di Venezia. E Venezia è sinonimo di acqua e l’acqua può esser messa nel vino per allungarlo. Ecco perchè l’anagramma di “Salvatore Quasimodo” è “Ma io squadravo l’oste!”. Analoga diffidenza denota “Cesare Pavese” (“Se pesa verace”). Tra lievità di spirito e pesantezza di corpo, l’anagramma si scioglie come una pastiglia effervescente nella commozione con "Giuseppe Ungaretti" ("Pure Gesù piangetti") ma non sarà sufficiente un Alka-Seltzer a “Gesualdo Bufalino” per digerire il pasto che gli stanno propinando, sempre che ad esso sopravviva (“Fagli un bue da solo”). Intanto “Angelo Ruzzante”, moderno titolista ‘ante litteram’, gioca con le parole (“Luna rozza” invece di ‘rossa’). Tra denunce sindacali e dichiarazioni di redditi si dimenano due "Luigi”: il “Pulci" con "Lui? Più CGIL!" e il “Capuana” con "Lui? Paga unica!", mentre "Marco Polo" ("Roma col Po") paventa un sacco di Roma leghista da far impallidire il ‘Barbarico Trio’ (Alarico, Genserico e Totila). Un dubbio allora ci sovviene: che il suo milione si riferisse al numero dei bossiani invasori?
Leone Pantaleoni*
*Enigmista
Nessun commento:
Posta un commento