martedì 20 maggio 2008

L'ULTIMA PUBBLICAZIONE DI LEONE DA CAGLI


Nella foto: in copertina la Sfinge pone ad Edipo il famoso quesito.


Elementare Watson? Macché! Elementare, Edipo: è questa la nuova versione rivista e corretta della celebre frase che Sherlock Holmes rivolgeva al suo assistente (in versione originale: "Elementary, my dear Watson!") .
E più precisamente è il titolo dell'ultima pubblicazione di Leone Pantaleoni, il "Leone da Cagli" della "Settimana Enigmistica", a compendio di una serie di lezioni enigmistiche tenute alle Elementari "Carducci" grazie alle autorità scolastiche, ed ‘in primis’ alle insegnanti Paola Barberini, Gabriella Imperatori e Raffaella Patrignani.
Giocando coi nomi degli alunni, per riposizionamento di lettere, Daniela è diventata Adelina e Diana, Nadia. Mentre, nel menu dell'enigmista, l'immangiabile "Rapa al pepe" nasconde una squisita "Pappa reale" e "Polipo, maghetto sardo" degli appetitosi e fumanti "spaghetti al pomodoro".
Tra le parole composte da un solo tipo di vocale ha fatto colpo "effervescentemente" e tra quelle composte da tutte le vocali, dimentichi di "aiuole" e di "Gualtiero", l'ha fatta da padrone "Supercalifragilistic(-)espiralidoso".
Nel breve brano dal titolo "Una famiglia monovocalica", compare la sola "a" ma ben 181 volte! E cioé: "Papà lava la vasca: la vasca allagava la mansarda! L’avara Ada, calma calma, spalma la cara (costosa) lavanda all’allampanata Anna. Sara spazza la sala. Mara, data la palla a Nara - la ragazza scassava! -, andata al bar a tracannar acqua gasata dalla caraffa, paga alla cassa. Lara, sala la pappa: la Tata, sfamata, alla nanna da brava andrà - stracca: la stanza s’appanna!-. Mamma - fa la sarta -, spazzata la lana scartata, stanca l’ammassa a manca. Papà - Ma va là! - bara a baccarà. Alla gatta, maltrattata dalla cagna - Basta! Basta! -, traballa la zampa staccata".
Tra i temi affrontati anche le aggiunte di lettera, gli indovinelli, i lucchetti, i bifronti, i palindromi, i rebus, le sciarade e i giochi di parole in genere.
Anagrammato, il nome della Scuola "Giosuè Carducci" è diventato "Coda-cric: su e giù" (una scodinzolare che ricorda il movimentio del cric).
La partecipazione e l’entusiasmo dimostrati hanno ribadito che unire l’utile al dilettevole è il modo migliore d’imparare. E d’insegnare.

lunedì 12 maggio 2008

STRAVAGANTE IL MENU DELL’ENIGMISTA? NO, ESPLODENTE

Se al ristorante vi presentano questo menù non vi spaventate:

Menu

Palla di serpente e api pedofile stomacose

Iena, larve nostrane gommose

Castrato di Nocino

Acari calmi e tè

Micio fetido e gallo colla nitroglicerina, Sidol, donnole torve rompicoglioni, sedano

Lumache sciantose, ramarro conico, tarli satolli

Flan, bronzo, orina

Ragni sodi e non cotti

Gatto tisico, vino con i vermi

Faina macilenta, tre zanzare querule, gamba destra di bovino e/o ragno cinese

Vespe cifose, sorde, sfigate




L’enigmista vi può togliere dai guai rimettendo a posto le lettere offrendovi prelibate pietanze:

Menu

Filetto di pesce spada al limone e pepe rosa

Salmone norvegese marinato

Crostino catalano

Alici macerate

Taglierini caserecci all’olio di Montegridolfo, vongole nostrane e pomodorini dolci

Risotto alla marinara con crostacei e molluschi

Branzino al forno

Contorni di stagione

Torta ‘Convivio Enigmistico’

Acqua minerale naturale e frizzante, Trebbiano e Sangiovese DOC di Romagna

Caffé espresso e digestivo

Insomma: ogni pietanza del secondo menù, quello vero, è stata ottenuta anagrammando le pietanze del menù precedente, immangiabile !


Altro che cucina esotica o multietnica, con api pedofile, lumache sciantose, gatto tisico e micio fetido nella lista di Edipo c’è anche un gallo alla nitroglicerina.

Confessiamolo: quante volte siamo stati vinti dalla tentazione della furtiva occhiata al menu, mostrando aria di superiorità, quasi che il mangiare fosse un atto indegno della incorporea immagine che si vuol dare di sé, specialmente nelle pompose occasioni? Avete presente? Parliamo di quella casuale manipolazione da prestidigitatore dell'elegante cartoncino che casuale non è, simulando interesse per la sua patinata veste tipografica e dissimulandone per il contenuto. Al punto che i più colti, con i caratteri Bodoni invece dei budini e con il Courier Maiuscolo invece di Grand Marnier, ne approfittano per far sfoggio d’una cultura mostruosa per i fan di Fantozzi ed enciclopedica per i discepoli di Diderot. Cose comuni, insomma. Di tutti i giorni, purché i giorni siano quelli delle sole ricorrenze. C'è qualcosa però che ben pochi sanno in fatto di menu. Ed è cosa da gente strana, intendiamoci. Enigmisti in generale ma, nel particolare, coloro che si dilettano con quella moda di riposizionare le lettere d’una parola o frase per ottenerne altre. Leggiamole, allora, queste benedette portate, doviziosamente elencate nella lista che fa rima con rivista (nel senso di rivista e corretta). Altro che cucina esotica o multietnica! Prima portata: "Palla di serpente e api pedofile stomacose". A parte che estrarre veleno da una vipera non è come togliere inchiostro da una seppia e tirar via il pungiglione da un imenottero non è come cavar spine da un baccalà, c'è da domandarsi chi mai sia l'ape pedofila. Forse quella che vola di favo in favo (versione ‘apesca’ di navigare su Internet) per insidiare le larve? Eppure, da non crederci, ciascun boccone è stato addentato con quell’affilatissimo appetito che caratterizza ogni prima portata. La spiegazione è semplice. In realtà, quelle robacce da far rivoltare lo stomaco d’uno struzzo altro non erano se non l'anagramma d’un invitante "Filetto di pesce spada al limone e pepe rosa". Ed ecco arrivare una seconda portata che per disgrazia dell’occhio si legge "Iena, larve nostrane gommose" ma per fortuna del palato si mangia "Salmone norvegese marinato". E quindi, a seguire, un impercorribile "Castrato di Nocino" che è praticabilissimo e croccantissimo "Crostino catalano". Ci sono poi "Acari calmi e tè" (sarà quello stesso tè che ha reso tranquille le bestiole?) che nascondono "Alici macerate". Ma il bello, anzi, il brutto, ed anzi ancora il bruttissimo, viene con "Micio fetido e gallo colla nitroglicerina, Sidol, donnole torve rompicoglioni, sedano". Premessa la possibilità di dover davvero ricorrere a quel lucidante e a quel detonante per digerire il puteolente felino, che chi dice donnola dice danno ce lo aveva già spiegato Piero Angela. In ben altri termini, s’intende, ma senza comunque informarci circa la capacità del mustelide di covar un astio da zitella inacidita. E quel sedano che timidamente conclude, non sembra il velleitario ombrellino rosa che dovrebbe paracadutare il Vil Coyote che precipita da un’altura che più altura non si può? D’accordo, esso ci ricorda che le fibre fan bene all'intestino ma non dopo che i movimenti peristaltici di ciò che gli sta sopra hanno disinnescato della trinitrina! Ben diversa, la verità si rivela, al massimo, un innocuo ruttino provocato da "Tagliolini caserecci all'olio di Montegridolfo, vongole nostrane e pomodorini dolci". Si prosegue con "Lumache sciantose, ramarro conico, tarli satolli" anagramma di "Risotto alla marinara con crostacei e molluschi". Dite la verità, quei gasteropodi alla Ninì Tirabusciò non vi fanno pensare ad un balletto – stavolta d’avanspettacolo - alla maniera degli ippopotami e coccodrilli nella famosa danza delle ore di disneyana memoria? E quei minuscoli coleotteri, non li vedete anche voi ansimare per la pancia troppo piena, eruttando nuvolette di segatura? Nella lista di pranzo seguono intanto "Flan, bronzo, orina" ("Branzino al forno"), "Ragni sodi e non cotti" ("Contorni di stagione"), "Gatto tisico, vino con i vermi" ("Torta 'Convivio Enigmistico'"). E, per finire, "Faina macilenta, tre zanzare querule, gamba destra di bovino e/o ragno cinese" ("Acqua minerale naturale e frizzante, Trebbiano e Sangiovesse DOC di Romagna"). Ah, dimenticavamo le "Vespe cifose, sorde, sfigate" che altro non sono se non l’immancabile tocco finale comprendente "Caffé espresso e digestivo". Come vedete, il cerchio che si è aperto con le api si chiude con le vespe, passando per zanzare, ragni e contorno di larve. Cosicché l'entomologo ha di che ridere. Non resta che piangere, invece, al critico gastronomico. Che almeno, nel caso di "Edoardo Raspelli", il cui anagramma è "Sorrido a padelle", ha di che consolarsi con il pentolame.
Leone Pantaleoni*
*Enigmista

domenica 11 maggio 2008

LA FAVOLA DEL CLERICAL-CONIGLIO E DEL PALADINO SENZA MACCHIA E SENZA PAURA

Tenete “Rocco Buttiglione” ed “Antonio di Pietro” a debita distanza dagli enigmisti. Gentaglia, questi ultimi, capace di tutto. E meglio ancora se il più distante possibile. Non è un ordine, beninteso. E’ un consiglio. Anzi, un coniglio. Almeno per il primo dei due, un cui anagramma, le medesime lettere cambiate di posto, è “C’è, brutto coniglio”. Che fa tanto Alice nel Paese delle Meraviglie. E più precisamente la versione disneyana della favola di Carroll che di bisestile aveva invece un leprotto. Uscendo dall’ambito favolistico ma restando in quello zoologico, per “Rocco Buttiglione” c’è anche “Bruco? Coniglietto?”, dove insetti e carnivori formano un’ alternativa resa improponibile dall’impercorribile connubio. Il quadro ‘edipicoclinico’ del paziente non migliora granché con “Ecco là ogni brutto”. E nemmeno con “Ecco l’ignoto: bruti!”. Mentre “Coglie contributo”, anch’esso anagramma di Rocco Buttiglione, confessa un peccato veniale forse del tutto rimesso dalla fisiologica necessità di finanziare la politica. Resta il fatto che il migliore resta comunque l’anagramma “Un clerico bigotto” che, nel riaccendere la mortale ferita europea del filosofo di Gallipoli, ne spegne definitivamente il cero da lui acceso sotto la statua di San Pier. No, non Damiani, ma Casini. Qualche passo più in là da quell’insalutato simulacro che – asseriscono gli smaliziati - dalla navata destra ambisce occupare la sinistra, c’è il pulpito. E sul pulpito chi se non il tonitruante “Antonio di Pietro”? “A’ pieno diritto, no?” afferma il suo anagramma con la solennità del tribunalizio: ‘Ne ha la facoltà’ e con la tracotanza del Verdone che esibiva tessere su tessere . E giù, a raffica, altri anagrammi a comprenderlo e difenderlo Antonino di Pietro: “Non è odio, partiti!”, “Porta noie di noti”, “Di rei annotò i ‘top’”, “Io reo non di patti”, “Io nato intrepido!”, “Io dirotto in pena”, “Adoro i pentiti? No!”, “O’ i toni ponderati”. Fino a stampargli in fronte il titulus di “Intrepido notaio”. Fino all’apice della esaltazione (“Per i toni dio nato!”). Ma, fuori del gregge, c’è anche l’unico che dubita (“Idoneo in partito?”). E perfino l’unico che contesta (“T’odiano per i toni”). Al punto di fargli ammettere: “Do noie in partito”. Tra i tanti anagrammi del suo debordante vestiario è comunque accertato che quello più indossato, lavato e stirato sia “Ai potenti dirò no!”. Semplicemente perché ne esalta la forma patinata di paladino senza macchia e senza paura.
Quella medesima forma che per la tavola di re Veltroni non può essere rotonda come si conviene, per i suoi troppi spigoli impossibili da smussare.

Leone Pantaleoni*
*Enigmista


Rocco Buttiglione

C’è, brutto coniglio

Bruco? Coniglietto

Ecco là ogni brutto

Ecco l’ignoto: bruti!

Coglie contributo

Un clerico bigotto

Antonio Di Pietro

A’ pieno diritto, no?

Non è odio, partiti!

Porta noie di noti

Di rei annotò i ‘top

Io reo non di patti

Io nato intrepido!

Io dirotto in pena

Adoro i pentiti? No!

O’ i toni ponderati

Intrepido notaio

Per i toni dio nato!

Idoneo in partito?

T’odiano per i toni

Do noie in partito

Ai potenti dirò no!

venerdì 9 maggio 2008

QUALCHE ALTRA COSA SU HITCHCOCK

ma stavolta in una versione che nulla ha a che vedere con l'anagramma!
Vedere per credere...


C’è un modo profano di rileggere i titoli più famosi del grande “Hich” che non per questo vuol anche essere irriverente. I titoli nella versione italiana dei suoi capolavori. Cosicché quell’originario e un po’ fascinoso “The man who knew too much” diventa “L’uomo che sapeva troppo”. Anzi, “L’uovo che sapeva troppo”. Vale a dire quel benedetto uovo che – una volta per tutte – sa dirci se sia nato prima lui o la gallina. Roba esistenziale, caspita, altro che i reiterati tentativi di Doris Day di riappropriarsi al disperato refrain di “Que sera sera” del figlioletto Hank, rapito con intenzioni omicide tra i minareti di Marrakech.
E “La finestra sul cortile”, sì, proprio quella che si spalanca dinnanzi all’azzoppato fotografo free lance James Stewart e alla bellissima modella Grace Kelly nella soffocante afa estiva del Greenwich Village (titolo d’origine controllata “Rear Window”)? Beh, se soltanto diventasse “La minestra sul cortile” potremmo stare tranquilli di ritrovarla non più fumante come quando appena scodellata, ma egualmente immangiabile perché sparsa sul terreno; non distante dall’aiuola un po’ smossa dalla quale sarà dissepolto il cagnolino che quella minestra ha inconsapevolmente rovesciato dal piatto. C’è poi “La donna che visse due volte” con una Kim Novak da vertigini (non per nulla il titolo originale è “Vertigo”). Ricordate quando James Stewart – sempre lui! - le faceva provare e riprovare quel tailleur grigio nella speranza di renderla del tutto uguale alla Madeleine che lui, Scottie, poliziotto bollito, credeva suicida? Ebbene, senza uscire dall’Atelier, ritoccato in “La gonna che visse due volte”, il titolo ammetterebbe una sola spiegazione: una gonna non ancora a punto, perché doppiamente abbondante in vita!
E se poi “Rebecca, la prima moglie” mutasse in “Rebecca la prima toglie”? Beh, allora non c’è dubbio che non più “Rebecca” ma “Ebecca”, e se preferite l’irridente “E becca”, diventerebbe il titolo del romanzo di Daphne du Maurier. Potevamo forse lasciare Cary Grant nelle imbarazzanti (ma è un eufemismo) circostanze d’esser inseguito da un aereo che lo mitraglia a volo radente? O penzoloni in Sud Dakota, sul precipizio del Mount Rushmore, sotto lo sguardo pietrificato di Washington, Jefferson, Roosevelt e Lincoln? Certo che no!
E allora se “Intrigo internazionale” si ritoccasse in “In … frigo internazionale”, non ci sarebbero dubbi che dove, se non meglio di quel multietnico congelatore, si potrebbero conservare dal sushi al cuscus? Così spropositando, si potrebbe mettere un piede nella città di Don Matteo (L’ombra del dubbio = L’ombra del Gubbio”) e l’altro in quella della “Madunina” (“L’altro uomo”
= “L’altro duomo”), fino ad approdare nell’ Argentina del costruttore De Tomaso (“La congiura degli innocenti” = “La congiura delle Innocenti”). Non resterebbe allora che un “Psycho” che, gonfiato a canotto in “Physico”, ci rimanderebbe al palestrato capitolo “Salute e Fitness” così prossimo alla chirurgia estetica del ritocco. Purché – beninteso - il bisturi non l’abbia in mano l’Anthony Perkins della sanguinante doccia di quello squallido Motel.

Leone Pantaleoni*
*Enigmista

giovedì 8 maggio 2008

CARO ALEMANNO, BASTA UNA "A" PER RISOLVERE IL PROBLEMA DEI ROM

Quasi sempre accoppiata alla città di Ancona quando si fa lo spelling, si picca di essere la prima lettera dell'alfabeto la A. E quindi anche la prima della parola "Abbecedario". Che non vuol dire avvertire Berto, in romanesco, dell'arrivo di Dario. La "a" tira il gruppo, pardon, il gruppetto, anche nel novero delle vocali. A scriverla in stampatello, per quel suo tetto esageratamente sporgente e quel trattino orizzontale che ne separa il sotto dal sopra, ci ricorda una casetta di montagna. Una baita, per intenderci. Che è parola di cinque lettere che di A ne contiene ben due. Quando è usata come prefisso, “Mikebongiornamente" parlando, non lascia ma raddoppia.
E precisamente duplica la consonante del termine che la segue a ruota (A+dosso=addosso, A+capo=accapo). Per cattiva abitudine che si traduce in uso errato della lingua, dimezza invece in espressioni del tipo "a mano a mano" che si trasformano, come non dovrebbero, in "mano a mano". Nel famigerato uso burocratico che non poteva certo mancare, inciampa in un francesismo nei non infrequenti casi di "A spedire", "A registrare", "A riportare" che espropriano in forma proletaria le forme corrette "Da spedire", “Da registrare" e "Da riportare". Scritta su una intonsa pagina bianca del taccuino dell'enigmista, può essere sorprendentemente letta in variegate forme: "asola" (A sola), "vela" (v'è l'A) e "sala" (s'à l'A). E, con più dispendio di materia grigia, in "aquila" (A? Qui l'A!). C'è invece del rocambolesco nel virtuosismo edipico: "Una Roma senza Rom". Che c'entra? Provate a sottrarre ROM dalla parola ROMA. Non è vero che resta la sola lettera A? E allora, l'avreste mai detto che per risolvere un problema più capitale che capitolino sarebbe bastato scrivere una A? Adesso non rimane che farlo sapere al neo sindaco Alemanno, il cui cognome comincia per A. Ah, dimenticavamo, va da sé che i Rom da rispedire al mittente sono soltanto quelli che delinquono. Scritta per formare AVOTA dinnanzi a un VOTA che non è necessariamente l'imperativo che obbliga a un dovere civico facoltativo, la A compie un gesto di autentica pratica cristiana. Come? Ma formando la frase "Una prece devota" (un'A precede VOTA)! Invece, a volersi dilettare nel comporre brani dove compaia un solo tipo di vocale, la A si dimostra così votata al caso da permettere performanches da Guiness dei primati. E, in proposito, sentite cosa combina la tanto numerosa quanto inedita famiglia monovocalica che segue: "Papà lava la vasca: la vasca allagava la mansarda! L'avara Ada, calma calma, spalma la cara (costosa) lavanda all'allampanata Anna. Sara spazza la sala. Mara, data la palla a Nara - la ragazza scassava! -, andata al bar a tracannar acqua gasata dalla caraffa, paga alla cassa. Lara sala la pappa: la Tata, sfamata, alla nanna da brava andrà - stracca: la stanza s'appanna! -. Mamma - fa la sarta -, spazzata la lana scartata, stanca l'ammassa a manca. Papà - ma va là! - bara a baccarà. Alla gatta maltrattata dalla cagna - Basta, basta! - traballa la zampa staccata". Come vedete si tratta di famiglia allargata. Zoologicamente parlando però. Ai soli cane e gatto, per farla breve. Adesso gli inguaribili pignoli si risparmino la gratuita fatica di mettersi a contarle le A presenti nel brano. Che sono 181, sì, centottantuno, glielo diciamo noi. Ah, dimenticavamo, ci avevate fatto caso che anche "allargata" è parola monovocalica in A?

Leone Pantaleoni*
*Enigmista

sabato 3 maggio 2008

MA DOPO AVER MALTRATTATO I POLITICI, COME POTEVO NON PRENDERE DI PETTO I GIORNALISTI ?

UMBERTO ECO
E’ come Bruto
Deve avere un qualche conflitto irrisolto con il padre “Umberto Eco”. Roba da anamnesi freudiana, intendiamo. Sta di fatto che il suo istinto parricida si trasferisce su uomini che san tenere in mano le leve del comando. Prima l’augurio di prematura dipartita al Cavaliere – ricordate? -, quindi la eloquente rivelazione del suo anagramma. Eh sì, perché riposizionando le letterine del nome e cognome dell’autore del Nome della Rosa si ottiene un “E’ come Bruto” che la dice lunga sulla sua cattiva inclinazione (altro che quella del pendolo di Foucault!).

EUGENIO SCALFARI
’Re Giulio’ fa scena /
Lui, gaio francese

Nemesi vuole, inoltre, che Edipo, sia al contempo simbolo della enigmistica (il quesito che gli prospettò la Sfinge) e di quell' inconfessabile complesso incestuoso del figlio verso i genitori (inconsapevole, uccise il padre Laio e sposò la madre Giocasta).Di ringraziare gli dei che il semiologo più famoso non gli sia coevo ha quindi ragione da vendere l’autore del De Bello. Bellamente infischiandosene di un “Eugenio Scalfari” (anagramma: “’Re Giulio’ fa scena”) notoriamente infallibile nello spaccare la mela giusta del pronostico sbagliato. Del resto, se un secondo anagramma del papà di Repubblica è “Lui, gaio francese” significa che le sue previsioni, caso mai, si pronunciano con bocca a culo di gallina e la erre moscia. E allora, ormai che ci siamo, vediamo cos’ha da dire l’anagramma sui nostri giornalisti più noti.


ROBERTO GERVASO
Reso vero Bogart

Pescando a caso, ci colpisce quel “Reso vero Bogart” riferito a “Roberto Gervaso”.


INDRO MONTANELLI
Martelli di nonno

Per colui che s’illude di compensare col vistoso farfallino la vastità della propria zucca pelata van bene i secoli bui in coppia con Montanelli ma non gli aeroporti grigi di nebbia ‘chic to chic’ con la Bergman.


Insomma, una cosa è ‘Casablanca’ e un’altra cosa è ‘Crapa bianca’.


PAOLO GRANZOTTO
Totò parlò ‘ganzo’

A proposito di cinema, rifacendosi al gergo giovanilistico, “Paolo Granzotto” si richiama al meta-linguaggio del grande Antonio De Curtis (“Totò parlò ‘ganzo’”).


PAOLO GUZZANTI
Ignota puzzola

In quanto ad accostamenti 'centauri' (metà uomo e metà bestia), non gradiscono né “Paolo Guzzanti” (“Ignota puzzola”) e nè “Piero Ostellino” (“Il leone riposto”).

GIAN ANTONIO STELLA
Io Stalin galante? No!

Proprio non ci tiene il “Gian Antonio Stella” della casta ad essere parametrato con Josif Vissarionovic Dzugasvili. Ancorché messosi in ghingheri (“Io Stalin galante? No!”), intendiamo.



ANDREA TORNIELLI
E lì il treno andrà

RENATO FARINA
Fraterna noia

Premesso che per un “Andrea Tornelli” con destinazione Lourdes c’è un puntuale “E lì il treno andrà”, non v'è di che gloriarsi né per il ‘sanpioeggiante’ "Antonio Socci” (“I sai non tocco!”) e né per il ‘pulpiteggiante’ “Renato Farina” (“Fraterna noia”).



CORRADO AUGIAS
Giuda sarà Orco?

Procede alla maniera dei sonnambuli sullo stretto cornicione dell’ortodossia/eterodossia il “Corrado Augias” dell’amata rivisitazione apocrifa (“Giuda sarà Orco?”).


GIAMPAOLO PANSA
Solo papà mangia!

E passando dalla lievità dello spirito alla gravità del corpo, sono memori della grande fame bellica “Giorgio Bocca” (“ Cibo, coraggio!”), “Giampaolo Pansa” (“Solo papà mangia!”) e “Gianni Minà” (“Mangia ‘Ninì’!”).

MARIO GIORDANO
Io morirò a Gand
Come a dire 'estrema unzione' e 'matrimonio', due differenti sacramenti ma un’identica minaccia, curiosa congiunzione francofona trova l’anagramma per “Mario Giordano” e “ Giampaolo Dossena”. “Io morirò a Gand” consiglia al primo di girare alla larga dalle Fiandre, e “Io sposo a Gand? Male!” suggerisce al secondo di non pigliarvi moglie.

BENIAMINO PLACIDO
Dopo Enna, lì mi baci

In tema (anche in senso di timore) di consorti, è con loro che devono vedersela “Stefano Lorenzetto”, “Franco Ordine” e “Beniamino Placido”. Per questioni di supremazia il primo (“Terzo non le fa testo!”), di sfiducia il secondo (“Non farò credi?”) e di opportunità il terzo (“Dopo Enna, lì mi baci”). Di diffusione europea del Giornale ha deciso di occuparsi “Gianni Baget Bozzo” (“Oggi abbonate Nizza!”). Con “Bonzi e gai” “Enzo Biagi” invia fino al martoriato Tibet la sua affilata ironia, mentre dei suoi non certo inflazionati apprezzamenti ha di che pavoneggiarsene “Gianni Bisiach” (“Biagi s’inchina”). Il suo anagramma “ Rivisto, sei morto!” ci conferma quanto confidatoci da “Vittorio Messori”. Ovvero che in tempi lontani, lui redattore della Stampa, un famoso astrologo gli predisse di non farsi mai mandare come inviato in qualche guerra perché ci avrebbe rimesso la pelle!
Col pennello in punta di dita “Giancarlo Dotto” (“Colorando gatti”) e coi nervi a fior di pelle “Enrico Mentana” (“E non mi cantare!”) e “Pierluigi Battista” (“Per lui già ti sbatti!”) alle prese con figli patiti del rock metallaro. Mentre soltanto tifoso in trasferta è quello di “Bruno Vespa” (“Nove bus pa’”).


GIORDANO BRUNO GUERRI
Oggi? Un error da burino!

Amareggiato “Giordano Bruno Guerri” (“Oggi? Un error da burino!”) ma dolce come la manna “Emilio Fede” (“E’ fido miele”). Lavora ai fianchi “Maurizio Costanzo” (“Io stuzzico a norma”) mentre fiancheggia operatori del RIS “Piero Ottone” (“Noto perito”).



PAOLO LIGUORI
Oro più giallo

Setaccio in una mano e scarpe nell’altra, si bagna i piedi nel Klondike “Paolo Liguori” (“Oro più giallo”). Ma è in ritardo di oltre un secolo. C'è accanto a lui uno smarrito “Magdi Allam” che nel chiedergli: “Dammi l’alga!” pensa forse di trovarsi in una qualche battigia sulle sponde del Mar Rosso.

NATALIA ASPESI
Spesa italiana

MAURIZIO BELPIETRO
Mio zio ruba tre pile

Nel supermercato dove quale offertissima del mese campeggia l’anagramma di “Luca Goldoni” (“CONAD-luglio”), “Spesa italiana” per “Natalia Aspesi” e imbarazzanti restituzioni di “Maurizio Belpietro” col parente cleptomane (“Mio zio ruba tre pile”).


ANTONIO PADELLARO
Non dà loro la pietà

Rivolto ai suoi trinariciuti lettori “Antonio Padellaro” - si noti la identica accentazione con Unità - “Non dà loro la pietà”.


MARCO TRAVAGLIO
Valgo tra comari

Prevedibile abuso di penna giustizialista che lascia il segno nella mano per “Paolo Flores d’ Arcais” (“Calloso sarà perfido”) e tanto inatteso quanto tambureggiante mea culpa per il giacobino ”Marco Travaglio” (“Valgo tra comari”).


MICHELE SANTORO
Che stile, Romano!

Emulo del giapponese che sperduto nella jungla ignora che la guerra del Pacifico è finita da un pezzo, “Michele Santoro”, patetico e anacronistico, è l’ultimo suddito che ancora combatte per Prodi (“Che stile, Romano!”).


VITTORIO FELTRI
Trovi o rifletti

Invece che martellare la sua ‘Olivetti 32’ “Indro Montanelli” armeggia coi “Martelli di nonno” nel garage che fa rima con bricolage e “Sergio Zavoli”è ancora recluso nel silenzioso convento delle carmelitane della sua più rumorosa intervista (“V’isolo? Grazie!”). Si guarda al presente con un trascinante “Vittorio Feltri” (“Trovi o rifletti”) ed al futuro con un vaticinante “Carlo Rossella” (“L’asso crollerà!”).

CARLO ROSSELLA
L’asso crollerà!

CATERINA SOFFICI
Ci sei? Affrontaci!
LUCIA ANNUNZIATA
Tu, un’anziana Calì

Che ci sia lo zampino di un “Aldo Grasso” spacciatore (“Droga l’asso”)? Spavalda “Caterina Soffici” (“Ci sei? Affrontaci!”) e stagionata dea salgariana “Lucia Annunziata” (“Tu, un’anziana Calì”), mentre, invadendo il terreno di Mario Luzzatto Fegiz, si occupa, anzi preoccupa, dell’ugola d’oro di Cellino San Marco “Angelo Panebianco” (“C’è Albano? Piange? No?”).

ANTONIO POLITO
Noto antipolio

GIOVANNI SARTORI
Tra noi risognavi


Nel settore sportivo degni di citazione “Paolo Valenti” (“Poi t’allenavo”) e “Bruno Pizzul” (“Pruzzo in blu”). Mentre non si comprende perché il ‘padanissimo’ “Gianni Brera” abbia “Grane in Bari”.
Indossa il camice del Fleming immunologo “Antonio Polito” (“Noto antipolio”) mentre per il politologo per antonomasia, “Giovanni Sartori”, sarà l’età, sarà l’ora tarda di certe trasmissioni dov’è ospite (insalutato?), l’anagramma riserva un “Tra noi risognavi” che ci spiega come il professore si sia inoltrato ben oltre l’ingresso del regno di Morfeo. E precisamente in quella fase REM non a caso detta ‘sonno paradosso’. E cioè laddove Sartori annaffia amorosamente ogni giorno il suo già rigoglioso pregiudizio antiberlusconiano.

Leone Pantaleoni*
*Enigmista



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01) Crittografia (frase: 7 6)
B S

02) Crittografia (frase: 7 7)
DB HPO

03) Crittografia (frase: 4 2 4)
NOME DELL'AT.ORE BANFI

04) Crittografia (frase: 4 10)
- CATINO -

05) Crittografia (frase: 7 2 5)
- QUI.T. LETTERA .. UN ALFABETO -

06) Crittografia (frase: 5 2 4)
- CH.SSA' -

07) Crittografia (frase: 8 7)
- VR VR VR VR TO -

08) Crittografia (frase: 3 4 4)
- TELEFONATEMI! -

09) Crittografia: (frase: 6 1 2 1 4 2 = 2 4 1 3 6)
D... DI NASCITA

10) Crittografia: (frase: 4 4 2 2 2 = 6 8)
IN QUEL PO.TO

11) Crittografia (frase: 8 2)
SONO RIMASTO LI’

INVITO AI CAGLIESI

INVIATEMI UN COMMENTO COL VOSTRO NOME, VI FARO' L'ANAGRAMMA.

GLI ANAGRAMMI DEI CAGLIESI

chi sono questi ?

(nome: 9, 8) = "PANCETTA CON SFREGI" Piercing mal eseguito?

(nome: 7, 7) = "RE FRA LE DOMANDE" Novello Mike Buongiorno?

(nome: 5, 7) = "CARDAR ALBERI"
Ma non era la lana?

per le soluzioni...