A parte il Padre Nostro delle preghiere di sempre e il padre mostro dei telegiornali di questi giorni, parola breve ma stimolante è papà.
Sotto l’aspetto enigmistico è sia monovocalica che monoconsonantica (possiede la sola a e la sola enne). Se ne teniam ferma la lettera iniziale e ne capovolgiamo la parte restante, sempre papà si legge. E dunque, in edipico crescendo, papà ha persino valenza di antipodo. Non basta: sillabicamente parlando, papà è parola palindroma, perché le sue due sillabe si leggono allo stesso modo anche cominciando dalla seconda verso la prima. Privata dell’accento, papà dismette calzoni e camicia e indossa l’assai più impegnativa ed autorevole veste del papa. Un giorno, sedendogli accanto durante la presentazione del suo libro “IL QUADRATO MAGICO” scritto a quattro mani con Vittorio Messori, avrei voluto chiedere allo scrittore Rino Camilleri se i figli da piccolo lo chiamavano confidenzialmente papà…Rino. Lui ha sorriso, forse per non piangere. O forse semplicemente perché di figli non ne ha non essendo sposato. Padre per antonomasia è San Giuseppe. E se il nome Giuseppe volessimo ribaltarlo come un calzino, non dovremmo scriverlo Eppesuig ma … Suignorò. Perché su è l’opposto di giù e ignorò di seppe. Quisquilie? Pinzillacchere? Quasi certamente. Ma che tengono il cervello allenato e aiutano a mantener a debita distanza le malattie del cervello. Ecco cosa suggerisce al cultore di giochi di parole la Festa del Papà che si celebra oggi, quasi in sordina. Senza rulli di tamburi e squilli di tromba, per intenderci. Anche se proprio della tromba, papà ne sembra il suono più onomatopeico.

Leone Pantaleoni
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