A proposito di libri, non c'azzecca nemmeno il Roberto D'Agostino dello “stradagospiato" Cafonal.
Portano i calzoni in punta di chiappe, i neo cafoni. A vita bassa, insomma; a mostrare non di rado un ombelico sepolto tra rotoli di ciccia e non del Mar Morto. Sempre, comunque, a simboleggiare che la quota massima raggiungibile dal loro volo è quella radente.
Ed è curioso come il loro presente si esprima con verbi al passato, quali i participi "leopardato" e "mansardato". In ossequio al principio di conservazione della massa del genio della chimica Lavoisier, vivono in un mondo dove nulla si crea e tutto si trasforma: chiese che sembrano navi, ma quella di Novilara stavolta non c'entra; negozi che paiono ambulatori, e scuole che somigliano a sotterranei di grattacieli. Diceva con la sua lungimirante ed affilata ironia Leo Longanesi: "Una società, la nostra, in cui ogni cosa assomiglia a un'altra diversa". E lo diceva negli anni '50. Quando il pulcino Calimero rompeva il guscio e a leggere le notizie del telegiornale era un uomo dalla voce bellissima e dalle orecchie grandissime. Era una televisione di frontiera, d’accordo, senza colore, ma non incolore. Bisognevole di tutto perché per niente fornita delle attuali innovazioni tecnologiche. Ma anche una televisione che alle Simone Ventura e alle Marie De Filippi non avrebbe neanche fatto reggere il cavo d’una telecamera spenta. E' in spregio (o sfregio, fate voi) a Lavoisier che tutto invece si distrugge. Prescindendo dalla plastica ed a cominciare dalla lingua italiana. Non han bisogno di gommoni e né della biforcuta complicità di Gheddafi le parole di matrice anglosassone per invaderci: dalle brevi "red", "web", "loft", "cool" e "bruch", a "welfare", "privacy", fino a "fitness", "sneakers", "competition", "governance" ed "enforcement". Per non parlare poi di quelle afferenti cibi esotici, quali sushi, sashimi, couscous, paella e falafel. E non è che uno sparuto campionario.
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