Quando serra sta per s’erra e primavera per prima v’era
Roba da far accapponare la pelle. Anzi, congelarla. Parliamo del freddo di questi giorni, manco fosse gennaio. Alla faccia del surriscaldamento del pianeta, dello scioglimento dei ghiacci e del cosiddetto effetto serra.
Roba da far accapponare la pelle. Anzi, congelarla. Parliamo del freddo di questi giorni, manco fosse gennaio. Alla faccia del surriscaldamento del pianeta, dello scioglimento dei ghiacci e del cosiddetto effetto serra.

Ah, a proposito, è ormai appurato che si debba leggere “s’erra”, nel senso di “si sbaglia”. Sottinteso il pronostico. Capita infatti a certi sedicenti scienziati di non azzeccarne una ch’è una; un po’ come ai coloriti declamatori di pronostici di nome Fox o Branko, oppure come ai Giuliacci e ai Caroselli che ci propinano previsioni meteorologiche puntualmente ed immancabilmente sbagliate. Di bello c’è che di tanti, tantissimi luoghi comuni, almeno uno, “Non si sa più come vestirsi”, può venir depennato. E’ certo infatti che si debbano indossare abiti pesanti. I più pesanti, dalla testa ai pedi.
Per non parlare poi dell’influenza. Asiatica o australiana che sia, ogni volta sembra la peste bubbonica di manzoniana memoria.
A questo punto, dopo la siccità estiva da deserto del Sonora, le alluvioni autunnali da Polesine e le gelate invernali infernali, perché da luogo di dannazione dantesca, parlare di catastrofismo è davvero poca cosa. E a noi, sia detto una volta per tutte, fa un po’ sorridere anche quello dei nostri telegiornali, dove fiocchi di neve vengono paragonati a meteoriti assassini e il collaudato ed elementare consiglio agli automobilisti di munirsi di catene vien dato come se fossero il paracadute d’un aviatore che sta precipitando.
Non ci resta, allora, che attendere la stagione che verrà. Ma – ahinoi! – essendo anche una mezza stagione, in quanto tale, non c’è più. Come per serra-s’erra, anche stavolta è una questione di accento. Perché? Ma perché se davvero la primavera è una mezza stagione che non c’è più, essa sta per … prima v’era.
Per non parlare poi dell’influenza. Asiatica o australiana che sia, ogni volta sembra la peste bubbonica di manzoniana memoria.
A questo punto, dopo la siccità estiva da deserto del Sonora, le alluvioni autunnali da Polesine e le gelate invernali infernali, perché da luogo di dannazione dantesca, parlare di catastrofismo è davvero poca cosa. E a noi, sia detto una volta per tutte, fa un po’ sorridere anche quello dei nostri telegiornali, dove fiocchi di neve vengono paragonati a meteoriti assassini e il collaudato ed elementare consiglio agli automobilisti di munirsi di catene vien dato come se fossero il paracadute d’un aviatore che sta precipitando.
Non ci resta, allora, che attendere la stagione che verrà. Ma – ahinoi! – essendo anche una mezza stagione, in quanto tale, non c’è più. Come per serra-s’erra, anche stavolta è una questione di accento. Perché? Ma perché se davvero la primavera è una mezza stagione che non c’è più, essa sta per … prima v’era.
Leone Pantaleoni
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